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Oltre le fazioni, lo stato della legge 194 sull'aborto

Oltre le fazioni, lo stato della legge 194 sull'aborto

Tema delicato e divisivo come pochi, di recente tornato spesso alla ribalta. Ma cosa succede nella quotidianità per la vita delle donne?


RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA

La politica è tornata sempre più spesso, negli ultimi tempi, ad affrontare il tema dell'interruzione volontaria di gravidanza così come, più in generale, quello della maternità. Ma tutto sembra poi fermarsi alla polemica. Alcuni casi di cronaca suscitano clamore, poi l'argomento ripiomba nel dimenticatoio. E i consultori familiari, decimati da anni di tagli, sono davvero solo "abortifici"? Facciamo un viaggio in queste strutture, presidi territoriali per la salute pubblica

di Enrica Di Battista


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Quando si parla di aborto, come in un derby, scattano le tifoserie. Tra opposti schieramenti ideologici e slogan, in Italia c’è chi dice che la legge 194 del 1978 “non si deve toccare” perché è il massimo ottenibile, chi la vorrebbe stravolgere e chi afferma che l’aborto è un “omicidio” e che è “aberrante” anche solo parlare di diritto. Ma come funziona in pratica? A 46 anni dall'approvazione, il provvedimento può dirsi davvero intoccabile?

L'aborto: cosa dice la legge 194 del 1978

Una manifestazione a favore della legge sull'aborto a Roma il 5 novembre 1975
Una manifestazione a favore della legge sull 'aborto a Roma il 5 novembre 1975 - RIPRODUZIONE RISERVATA

La legge 194 del 1978  disciplina da 46 anni in Italia il diritto di accesso all'aborto. Ottenerla, all'epoca, dopo anni di battaglie femministe e di compromessi politici, portò un clamoroso cambiamento culturale nel segno di una rivoluzione in tema di sessualità e di libertà di scelta. Ancora oggi, consente alla donna di poter ricorrere all’Interruzione volontaria di gravidanza (IVG) entro i 90 giorni di gestazione. A rilasciare il certificato deve essere un ginecologo o un medico di fiducia della donna. L’aborto può essere praticato per via chirurgica, in day hospital, o per via farmacologica, un metodo meno invasivo, in ambulatorio o in day hospital. I consultori sono le strutture pubbliche dove viene rilasciato il maggior numero di certificati di IVG, oltre il 40% del totale.

Questo sulla carta e in estrema sintesi, la realtà però non è così semplice. Sono solo tre (Lazio, Toscana ed Emilia-Romagna) le Regioni italiane dove è consentito l’aborto farmacologico con la pillola abortiva in regime ambulatoriale, quindi nei consultori e nei poliambulatori. In questo caso si utilizzano due farmaci: il mifepristone, più noto come RU486, e una prostaglandina, il misoprostolo. Nelle altre Regioni il farmacologico è previsto, ma in regime di ricovero.

È poi la stessa legge 194 a consentire ad un medico l’obiezione di coscienza. In Italia, secondo i dati del Ministero della Salute, è obiettore di coscienza il 63,6% dei ginecologi, ma secondo l’associazione Luca Coscioni in alcune regioni si arriva a punte dell’80%.

In base alla relazione al Parlamento sull’applicazione della legge 194 in Italia, nel 2020 vi sono state 66.413 interruzioni volontarie di gravidanza, con una riduzione del 9,3% rispetto al 2019. Dal 1983, anno in cui si è avuto il più alto numero di IVG in Italia (234.801 casi), si è rilevata una continua diminuzione del numero di aborti effettuati.

La relazione al Parlamento sull'applicazione della legge 194 

 

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Lo stato di salute della 194 tra mancate applicazioni e criticità

Una manifestazione del partito Radicale per il referendum sull'abrogazione di parte della 194
Una manifestazione del partito Radicale per il referendum sull 'abrogazione di parte della 194 - RIPRODUZIONE RISERVATA

   Qual è lo stato di applicazione della legge 194 in Italia? "Per prima cosa servirebbero dati aperti ed aggiornati che riguardino le singole strutture sanitarie e non solo la media regionale", dice all'ANSA Chiara Lalli, bioeticista dell'associazione Luca Coscioni. Gli stessi numeri che riguardano i ginecologi obiettori di coscienza, aggiunge, "non bastano a dire se in una determinata Regione l'aborto funzioni o meno, perché dipende - in positivo o in negativo - da un'altra serie di dati variabili di cui non siamo bene a conoscenza. E d'altro canto va anche considerato che non tutti i ginecologi non obiettori eseguono l'IVG".

   Inoltre, prosegue Lalli, bisogna smettere di trattare l'aborto "solo come un dilemma morale. Chiaramente il tema ha un profilo morale, ma l'interruzione volontaria di gravidanza è prima di tutto un servizio medico. Quello che è certo è che in Italia, che non è solo quella delle grandi città, un servizio medico protetto dal diritto alla salute quale è l'aborto diventa una caccia al tesoro. Sulla cronaca balzano casi che fanno clamore, poi il tema muore lì, abbandonato. La domanda che pone Lalli è: "C'è mai stata l'intenzione politica di applicare la legge 194 e di migliorarla, visto che è del 1978? Non lo hanno fatto neanche i governi di centrosinistra. Si è solo svuotata la legge, così come si è fatto con i consultori familiari", fa notare l'esperta.

   Come si dovrebbe intervenire, quindi? "La legge del 194 non è mai stata bene applicata in tutte le sue parti, soprattutto dove si prevede la formazione del personale sanitario sull'aborto, che si fa poco e male. A titolo di esempio, a Roma tre scuole di specializzazione su quattro non hanno un punto IVG", nota Lalli. Inoltre, secondo l'associazione Coscioni, è necessario lavorare sulla reale garanzia dell'aborto farmacologico, questo "depotenzierebbe l'obiezione di coscienza e farebbe risparmiare soldi al Sistema sanitario nazionale", spiega Lalli. 

   Il tasso di obiezione di coscienza, afferma la ginecologa e attivista Mirella Parachini, "cadrebbe se fosse applicata davvero la legge del 1978: l'articolo 9, ad esempio, è chiaro perché recita: “Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento delle procedure previste dall'articolo 7 e l'effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8”. 

   A 46 anni dalla 194 bisognerebbe poi mettere a fuoco le criticità della legge, le parti del provvedimento che andrebbero riviste e migliorate, in particolare gli articoli 6 e 7, secondo l’Associazione Luca Coscioni, che ha presentato da tempo alcune proposte di modifica riguardanti:

1) l’eliminazione del "periodo di riflessione" obbligatorio di 7 giorni dopo il primo colloquio per l’IVG;

2) l’introduzione del “rischio per la salute” della donna per le IVG oltre il novantesimo giorno;

3) l’eliminazione dell’obbligo del medico di “salvaguardare la vita del feto”.

Il fattore tempo è determinante. “Nel caso in cui sia fatta una diagnosi tardiva di grave patologia fetale, oltre la ventiduesima settimana, quando il feto ha raggiunto la possibilità di vivere al di fuori dell’utero, la donna è costretta ad andare all’estero per abortire”, ricorda l’associazione Coscioni.

La Ru486 è stata prodotta per la prima volta nel 1988, ma in Italia è stata approvata nel 2009. Ancora oggi l’aborto farmacologico, meno invasivo e anche meno oneroso per il Sistema sanitario nazionale rispetto al chirurgico, in Italia stenta. La ginecologa Mirella Parachini dà una lettura originale di questo fatto: secondo lei c’è resistenza tra i colleghi perché la procedura per la pillola abortiva è seguita direttamente dalla donna e questo sconvolge il parametro classico tra il medico e la paziente.

A livello territoriale, anche secondo gli ultimi dati Istat, ci sono disparità territoriali nell’accesso all’IVG, con il solito divario nord/sud, ma anche con una situazione nazionale a macchia di leopardo, dove si trovano eccellenze nel mezzogiorno e difficoltà nel settentrione. “L’Italia ha esempi di buona applicazione della legge 194”, ci tiene a precisare Parachini. La regione Lazio, per esempio, è stata la prima ad applicare le linee guida per il farmacologico ambulatoriale, per consentire la pillola Ru486 negli ambulatori e consultori. 

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Cristina ricorda l'aborto a 23 anni

Una donna manifesta in difesa della legge 194
Una donna manifesta in difesa della legge 194 - RIPRODUZIONE RISERVATA

Sono tante, complesse e diverse le esperienze di donne che scelgono l'Interruzione volontaria di gravidanza. Cristina Vasta, una delle mamme del Collettivo per il Consultorio della Garbatella, racconta la sua esperienza, a 23 anni, in un consultorio. “Ero molto giovane, sono rimasta incinta per errore - dichiara -. Sono andata al consultorio e dentro di me avevo già scelto liberamente di non tenere il bambino. Oggi so di aver fatto bene”.

“Quando arrivammo, per prima cosa la ginecologa disse a mia madre, che pure mi sosteneva: ‘Signora, resti fuori dalla stanza’. Il medico voleva accertarsi – racconta Cristina - che qualsiasi scelta facessi, tenere o no il bambino, fosse libera e consapevole. Così funziona in un consultorio. Non smettevo di piangere, ma la dottoressa fu molto umana, mi presentò le possibilità che avevo di fronte sia nel caso avessi voluto tenere il bambino sia nel caso avessi voluto abortire. Sentivo un’enorme paura - ricorda Cristina -, un senso di colpa, a causa degli stereotipi della società. Ma io avevo già scelto, liberamente e senza dubbi, perché ero in una fase della vita in cui avevo altre prospettive, studiavo per il dottorato, non volevo un figlio. Oggi sono una madre felice di un bambino felice e dico che quella è stata la scelta giusta. La vita che nasce deve avere dignità: è il diritto del bambino. Dopo l’aborto ero serena. Mi dissero: ‘Torna’. Perché nei consultori ti seguono anche dopo e solo così non rimane una ferita interiore”, conclude. 

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Cristina e l'aborto, una scelta dolorosa ma libera

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Il ruolo dei consultori familiari, falcidiati dai tagli

Sanità: Molise, per future mamme ecco l'Agenda di gravidanza
Sanità: Molise, per future mamme ecco l 'Agenda di gravidanza - RIPRODUZIONE RISERVATA

Di recente si è affrontato l’argomento dei consultori familiari, parlando dell'ingresso delle associazioni pro vita, solo quindi collegandoli alla legge 194. Ma queste strutture sono molto altro: non sono solo luoghi di donne o spazi residui anni Settanta, anche se nati dalle lotte femministe. Sono porte aperte sul territorio, dove a partire dai 14 anni, senza ticket, anche un ragazzo o una ragazza possono entrare per chiarire dubbi o avere consulti medici. Sono anche sentinelle sul territorio per intercettare la depressione post-parto o la violenza di genere.

I consultori familiari pubblici vennero istituiti con la legge 405/1975    frutto di un compromesso tra la Democrazia cristiana e il Partito comunista. La legge ne raccomandava uno ogni 20 mila abitanti, ma l’indicazione è stata sempre disattesa: non si è mai raggiunta quella media e poi i tagli al welfare negli anni hanno decimato pure le strutture esistenti. Dal 2007 al 2019 il loro numero in Italia è calato da 2097 a 1800, dunque circa 300 consultori in meno, secondo l’Istituto superiore di sanità. Ad oggi ne abbiamo 1 ogni 35.000 abitanti, il 60% in meno di quelli richiesti, secondo l’indagine più recente dell’Iss pubblicata nel 2022 e condotta sui 1800 consultori italiani tra 2018 e 2019. Ma da allora altri consultori hanno chiuso. Secondo le attiviste che oggi si battono per questi presìdi, l’intenzione è di andare verso la loro chiusura totale, mentre fioriscono quelli privati.

Nei consultori familiari un lavoro di equipe prevede la ginecologa, l’ostetrica, la psicologa e l’assistente sociale, “con una grande variabilità in termini di organico tra le Regioni”, fa notare l’Iss.

Il personale medico e sanitario opera tra mille difficoltà dovute alle scarse risorse e strumentazioni a disposizione. I consultori familiari si occupano, quindi, della salute della collettività. La valutazione di un percorso di interruzione volontaria di gravidanza, nel rispetto della legge 194, è solo uno dei tanti servizi offerti. Nei consultori si parla, anche ai giovanissimi, di sessualità, di contraccezione, di malattie sessualmente trasmissibili. Molte donne ignorano le potenzialità di un contraccettivo come la spirale (e di quella medicata contro il ciclo mestruale emorragico) fin quando non entrano in un consultorio.

Questi presìdi territoriali gratuiti accompagnano i genitori nel percorso nascita (con i corsi preparto), nel supporto alla maternità e nella genitorialità. C’è poi la consulenza sull’allattamento con l’ostetrica. Qui possono essere individuati precocemente i segnali di depressione postparto. Il consultorio non è solo il luogo dove una neomamma incontra uno specialista, c’è anche una dimensione collettiva di confronto con altre mamme, una leva ad uscire da quella solitudine delle madri nella società odierna, come racconta Cristina Vasta del Collettivo per il Consultorio della Garbatella. 

Nei consultori si colgono spesso anche i segnali della violenza domestica e di genere. In queste strutture, laddove i tagli non hanno minato le risorse per personale e strumenti, si eseguono la prevenzione oncologica e le consulenze sulla menopausa. Per i giovanissimi è uno spazio fondamentale: aperto e gratuito, possono raccontare, a figure terze rispetto alla famiglia, tutti i dubbi dell’età evolutiva, trattando varie tematiche, dalla sessualità all’identità di genere, al bullismo, ai problemi alimentari. Contrariamente a quanto si crede, è uno spazio anche per i maschi: possono essere chiamati specialisti esterni, come l’andrologo, non molto frequentato dai giovani, che valuterebbe in anticipo patologie che in futuro possono poi portare all’infertilità, come il varicocele, visita oggi ancor più importante da quando non si passa quella per il militare obbligatorio.

Per sintetizzare, citando l’Istituto Superiore di sanità, i consultori sono “un servizio unico” che andrebbe tutelato. E sempre l’Iss aiuta a sfatare un altro tabù: nella promozione della procreazione consapevole e responsabile, i consultori, dal 1982 al 2017, hanno contribuito a ridurre le Interruzioni Volontarie di Gravidanza (IVG) di oltre il 65%.

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Non solo 'abortifici', il ruolo dei consultori per la famiglia

Non solo 'abortifici', il ruolo dei consultori per la famiglia

In Italia una rete si batte a difesa dei consultori: "Basta tagli"

Donne in piazza a Napoli, 'via gli antiabortisti dai consultori'
Donne in piazza a Napoli, 'via gli antiabortisti dai consultori ' - RIPRODUZIONE RISERVATA

In Italia da anni si sono costituiti gruppi locali a difesa dei consultori, contro i tagli e le chiusure. Nel 2017 è nato il Coordinamento delle donne e delle libere soggettività dei Consultori locali di Roma e da gennaio 2024 c’è la Rete nazionale consultori e consultorie.

A Roma, tra le varie realtà attive, è sorto il Collettivo per la difesa del Consultorio della Garbatella in via delle Sette Chiese 25, voluto da un gruppo di donne che si erano conosciute durante il periodo della maternità all’interno della struttura, dove si ritrovavano nello spazio mamme, per la consulenza sull’allattamento o sulla crescita del neonato. Il consultorio della Garbatella è stato poi chiuso a settembre 2023. Durante i presìdi per la riapertura, racconta Cristina Vasta, mamma del collettivo, “ricordo madri che hanno preso il megafono in mano per dire: ‘Il consultorio mi ha salvato la vita durante la maternità’. Ma anche padri scesi in piazza a benedire i consultori. L’esempio della Garbatella, racconta Cristina, dimostra quanto il consultorio diventi amato da tutto il territorio, essendo un presìdio aperto e gratuito per tutti. Grazie alle pressioni del collettivo sono stati così riattivati alcuni servizi, come lo spazio mamma e lo spazio giovani.

Critiche sull'ingresso dei pro life le reti a sostegno dei consultori. “L’obiettivo è ancora controllare il corpo delle donne”, commenta con l’ANSA Francesca Perri, dirigente medico emergentista oggi in pensione e attivista del Coordinamento delle donne e delle libere soggettività dei Consultori locali di Roma.

“I consultori non sono abortifici, dentro si fa molto altro, ma in queste strutture non può essere negata una libera scelta, secondo la legge”, racconta Gabriella Marando storica attivista del Coordinamento e della Rete nazionale.

Le linee guida del ministro Speranza del dicembre 2020 prevedevano la somministrazione della RU486, ossia l’aborto farmacologico, anche all’interno dei consultori. A titolo di esempio, “a Roma i consultori che lo fanno sono solo cinque, perché negli altri manca l’ecografo. E Roma – sottolinea l’attivista – è una realtà messa meglio di altre. In Italia assistiamo al turismo dell’IVG perché in alcune Regioni, tra obiettori di coscienza e consultori chiusi o depotenziati, non si prescrive la pillola abortiva”.

Nel frattempo, denuncia Marando, “proliferano i consultori privati in mano a associazioni confessionali”. D’altra parte, aggiunge, “le Asl considerano i consultori dei rami secchi perché si entra senza ticket” e quindi non ci si investe più. “Questa mossa politica e ideologica sui Pro vita trova un clima favorevole perché i consultori li stavano già smantellando a causa dei tagli”, nota infatti Kuei Ying Proietti, una delle mamme del collettivo Garbatella. “Vogliono impedire le scelte consapevoli delle donne”, aggiunge Giovanna Iacona, altra esponente del collettivo.

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Il Consultorio della Garbatella a Roma, un collettivo di madri lo difende

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I pro life nei consultori

Pro Life in piazza
Pro Life in piazza - RIPRODUZIONE RISERVATA

In Italia il dibattito politico si è infuocato riguardo l’ingresso dei movimenti Pro Life o Pro Vita all’interno dei consultori pubblici, in seguito all’approvazione di un emendamento di Fratelli d’Italia al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). In realtà la legge istitutiva già contempla, all’articolo 2, la possibilità dei consultori di avvalersi di soggetti esterni. La norma del Pnrr prevede che le Regioni stesse possano “avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, di soggetti del terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità”.

In questo clima incandescente ha fatto clamore la denuncia del Centro antiviolenza di Aosta sui casi di battito del neonato fatto ascoltare a donne che avevano chiesto l’IVG in strutture pubbliche. “Ascoltare il battito è un diritto della donna”, ha ribadito l’associazione Pro Vita & Famiglia. Ma la contrarietà su questo è stata dimostrata anche dalla ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità Eugenia Maria Roccella.

“Crediamo e speriamo che l’aborto diventi qualcosa di impensabile – dichiara all’ANSA Jacopo Coghe, portavoce di Pro Vita e Famiglia Onlus -. Oggi in Italia viene detto in maniera erronea che l’aborto è un diritto perché in realtà la legge 194 depenalizza l’aborto, permettendo ai medici che lo praticano di non essere accusati di omicidio, perché l’aborto – prosegue Coghe - è la soppressione di un essere umano innocente nel grembo di una mamma. Ergere questo a diritto ci sembra surreale”. A tal proposito la onlus Pro Vita & Famiglia a gennaio ha lanciato la campagna “Semplicemente umano” per il riconoscimento della soggettività giuridica dell’embrione, perché l’essere umano è tale dal concepimento, ribadisce Coghe. In Italia, come in Europa, c’è un grave problema di denatalità. Per arginarlo servono misure a tutto campo, ripetono da decenni gli esperti: lavoro femminile, welfare e servizi (asili nido, in primis), lavoro per i giovani, agevolazioni per gli acquisti o gli affitti delle abitazioni. “Servirebbero aiuti molto più importanti rispetto a quelli che abbiamo oggi. Ma non basta perché il problema non è solo economico ma è anche culturale ed è su questo doppio piano che dobbiamo lavorare”.

La presenza dei Pro Life nei consultori è “un valore aggiunto”, dice Jacopo Coghe, ricordando tutta una parte inapplicata della legge 194 che prevede sostegni economici per le donne che non possono portare avanti una gravidanza. Il punto è che, allo stato attuale, non vengono previsti fondi specifici. L’associazione Pro Vita & Famiglia attraverso il progetto “Un dono per la vita” regala un kit alle donne che decidono di portare avanti una gravidanza: passeggino, seggiolino, culletta, pannolini, ciucci e biberon.

La stessa associazione ha inaugurato La casa di Chiara, uno spazio di accoglienza, finanziato dai donatori della onlus, “per ospitare gratuitamente donne che hanno gravidanze patologiche o per curare malattie di un figlio ancora non nato”, aggiunge Coghe.

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Coghe (Pro Vita&Famiglia): "Speriamo che l'aborto non debba più esistere"

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L'Europa ci guarda

Il Parlamento europeo
Il Parlamento europeo - RIPRODUZIONE RISERVATA

Il dibattito politico italiano ha attirato l’attenzione dell’Unione europea. Mentre in Italia si discuteva della norma sui pro vita nei consultori, la Commissione Ue ha bacchettato l’Italia (facendo notare che “le norme sull'aborto sono estranee al Pnrr”) e il tema è finito anche sul Guardian.

Il resto d’Europa in quale direzione va? Il Parlamento europeo ha chiesto che il diritto all’aborto sia aggiunto alla Carta dei diritti fondamentali dell’Ue. La Francia da marzo 2024 è il primo Paese al mondo ad aver iscritto il diritto all'Interruzione volontaria di gravidanza in Costituzione. In Spagna l’accesso all’aborto senza il consenso dei genitori è consentito a partire dai 16 anni. In Gran Bretagna una legge dell’Ottocento considera l’aborto un crimine anche se, dal 1967, è legale abortire con il parere di due medici entro la ventiquattresima settimana, ma il Paese sarebbe in procinto di fare ulteriori passi avanti verso una “decriminalizzazione”. 

L'aborto in Germania è illegale, ma nella realtà è praticato e tollerato. Nello specifico, l'aborto farmacologico è presente in tutti gli stati dell’Unione europea, ad eccezione di Polonia, Lituania, Ungheria e Malta (paesi nei quali l’aborto è vietato).

Si stima che nell’Unione europea più di 20 milioni di donne non abbiano accesso ad un aborto sicuro e per questo - ha spiegato l'attivista slovena Kristina Krajnc - è stata avviata in Europa la prima campagna di raccolta di firme per garantirlo a tutte nel continente.

La proposta, per il cui esame è richiesta una soglia di almeno un milione di firme, punta a stabilire un meccanismo finanziario che sostenga gli Stati membri per fornire servizi di aborto sicuri e legali per le donne provenienti da Paesi in cui la possibilità di interrompere la gravidanza non è gratuita, come Austria e Germania, o per quelle provenienti da Paesi in cui l'aborto è legale, ma non facilmente accessibile, come Croazia e Italia.

Nel nostro Paese, secondo un sondaggio SWG per l'associazione Coscioni, il 75% del campione intervistato è favorevole all’aborto anche se il 90% di questo ritiene che la legge 194 sia da migliorare. Oltre la metà degli intervistati considera importante garantire l’accesso alla interruzione volontaria di gravidanza farmacologica, permettendo l’autosomministrazione a domicilio del secondo farmaco, il misoprostolo, come avviene in altre parti del mondo, evitando il ricovero. 

Infine, un dato: nel mondo sono 39 mila i decessi per aborto non sicuro, secondo l’Oms. Ma è chiaramente una stima parziale dei casi ufficiali, dove non sono inclusi i tanti luoghi del mondo dove ancora si praticano aborti clandestini e rischiosi, come da noi un tempo facevano le mammane con i ferri da calza.

 

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