Economica, sempre disponibile, non
giudicante e discreta. L'Intelligenza Artificiale per le nuove
generazioni non è solo un aiuto per fare i compiti, ma sta
assumendo sempre di più anche i contorni di una entità con cui
confrontarsi quotidianamente sui problemi della vita.
A rivelarlo è un'indagine di Skuola.net su un campione di
2.000 giovani tra gli 11 ed i 25 anni. Che segnala come il 15%
di loro abbia ammesso di utilizzare una delle varie
"intelligenze" disponibili - da ChatGPT a Replika, passando per
Youper - per confidarsi, sfogarsi e chiedere consigli personali.
Se, poi, si estende la platea includendo coloro che hanno un
rapporto almeno settimanale con "Chat"- questo ormai il
soprannome amichevole con cui le IA vengono chiamate - in
funzione di amico-psicologo si sale al 25% del totale.
Con un denominatore comune: l'esigenza di ottenere un punto di
vista imparziale e, soprattutto, discreto sulla propria
situazione. Facilmente accessibile e di fatto sempre operativa,
l'IA si propone così come un confidente virtuale che offre
suggerimenti e spunti di riflessione, senza pregiudizi. Per
questo, complessivamente, 6 giovani su 10 l'hanno provata almeno
una volta nella vita in questa veste.
Basta scorrere le principali motivazioni che spingono al suo
utilizzo come psicologo per capire perché: il 38% la utilizza
proprio perché disponibile in ogni momento, il 31% la interpreta
come forma di auto-aiuto che si può gestire autonomamente, il
28% vi ricorre per avere un giudizio obiettivo riguardo la
propria condizione.
Ma la lista non finisce qui. A seguire, nella classifica dei
motivi per cui si preferisce l'IA all'umano, è la sensazione di
sentirsi meno giudicati, come anche di avere meno difficoltà ad
aprirsi rispetto a quelle che si avrebbero di fronte ad una
persona in carne ed ossa. Quando quest'ultima è alla portata,
perché spesso l'IA interviene proprio quando non ci si può
permettere un terapista umano.
La metà di chi ha una consultazione quotidiana (15%) o
settimanale con il ChatPsicologo (8%) ritiene che la sua vita
sia decisamente (17%) o leggermente (34%) migliorata. Alla
peggio le cose sono rimaste invariate (47%). Pochissimi quelli
che pensano che il proprio stato mentale sia, purtroppo,
peggiorato (2%).
Il pericolo, però, è in agguato. A partire dal possibile
sviluppo di una dipendenza: 1 su 3 ha percepito la sensazione di
non poter più fare a meno di queste conversazioni. Fino anche
alla creazione di veri e propri legami empatici: 1 su 6, sempre
tra gli utilizzatori frequenti, dichiara di sentire spesso una
connessione emotiva durante le "sedute", mentre il 38% ammette
che può avvenire ma con frequenza più sporadica.
Rischi che, però, potrebbero essere mitigati per quel 16% di
utilizzatori frequenti che attualmente associa questa pratica
alla frequentazione di un terapista umano. Esperienza che ha
fatto in passato il 28% di loro, mentre la metà non ha mai avuto
contatto con un professionista in carne ed ossa. Ma il 31%, dopo
questa esperienza artificiale, sarebbe disposto a farlo.
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