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Sotto i Campi Flegrei la crosta terrestre è più debole del normale

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Sotto i Campi Flegrei la crosta terrestre è più debole del normale

Potrebbe spiegare il sollevamento del suolo e l’attività sismica

08 maggio 2025, 06:28

di Benedetta Bianco

ANSACheck
Sotto i Campi Flegrei la crosta terrestre presenta uno strato più debole del normale (fonte: Laboratorio di Geomatica dell’Osservatorio Vesuviano - INGV) - RIPRODUZIONE RISERVATA

Sotto i Campi Flegrei la crosta terrestre presenta uno strato più debole del normale (fonte: Laboratorio di Geomatica dell’Osservatorio Vesuviano - INGV) - RIPRODUZIONE RISERVATA

Sotto i Campi Flegrei la crosta terrestre presenta uno strato più debole del normale, localizzato fra 3 e 4 chilometri di profondità, che potrebbe spiegare il sollevamento del suolo e l’attività sismica che interessano quest’area: lo indica lo studio guidato dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e pubblicato sulla rivista Agu Advances, nato dalla collaborazione tra Ingv, Università di Bologna e Università francese di Grenoble-Alpes. La scoperta conferma l’importanza del continuare a studiare il sistema dei Campi Flegrei e del mantenere alto il livello di attenzione attraverso un monitoraggio continuo.

“Abbiamo individuato un'importante soglia di transizione a circa 2,5–2,7 chilometri di profondità”, dice Lucia Pappalardo, che ha coordinato lo studio. “Al di sotto di questa soglia, la crosta appare più porosa e permeabile del previsto, e quindi meno resistente, favorendo l’accumulo di fluidi magmatici. Questi fluidi, intrappolati, aumentano progressivamente in volume e pressione – prosegue Pappalardo – innescando deformazioni del suolo e attività sismica”.

I ricercatori hanno estratto campioni di roccia grazie ad un pozzo profondo circa 3 chilometri, e li hanno poi analizzati tramite tecniche avanzate di laboratorio e immagini 3D ad alta risoluzione del sottosuolo. I risultati indicano che lo strato debole, oltre a fungere da trappola per il magma, potrebbe anche influenzare la sua risalita.

Infatti, nel caso in cui la quantità di magma sia piccola, questo tenderà ad arrestarsi in corrispondenza dell’area più fragile raffreddandosi prima di raggiungere la superficie, in un processo che viene detto di ‘eruzione abortita’. Ma se il magma si accumula rapidamente potrebbe non avere il tempo di raffreddarsi, riprendendo la risalita come osservato nell’ultima eruzione del 1538, che portò alla formazione del Monte Nuovo. Infine, in caso di quantità di magma più elevate, potrebbe saltare del tutto la fase di sosta e raggiungere direttamente la superficie.

“Questa ricerca non influenza direttamente le nostre previsioni a breve termine, ma è un tassello fondamentale per comprendere il comportamento del vulcano e migliorare la nostra capacità di monitorarlo”, sottolinea Mauro Antonio Di Vito, direttore dell’Osservatorio Vesuviano e co-autore dello studio. “Solo con una conoscenza sempre più dettagliata del sistema vulcanico e della sua dinamica – aggiunge Di Vito – possiamo sperare di anticipare segnali critici e ridurre i rischi per le persone”.

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