SALVO PALAZZOLO, L'AMORE IN QUESTA CITTÀ (RIZZOLI, 228 PAGINE, 18 EURO)
Una studentessa di vent'anni viene uccisa all'università di Palermo. E accanto a lei si scopre il cadavere di un uomo. È il 1935, il momento di maggiore espressione del potere fascista impegnato a diffondere l'idea di ordine e sicurezza. E proprio il regime, che aveva ridotto nei giornali la cronaca nera a "trenta righe in cronaca", si preoccupa di fare passare sotto silenzio quello che ha tutte le sembianze di un femminicidio. Di quel delitto di 90 anni fa non si è saputo mai nulla. Né articoli sui giornali né tracce di ricordi su un delitto compiuto nella coorte universitaria di quello che oggi è l'archivio della facoltà di Giurisprudenza.
Maria Concetta Zerilli, che gli amici chiamavano Cetti, studentessa del secondo anno di Lettere, venne ritrovata la mattina del 17 settembre 1935, uccisa con tre colpi di pistola.
Accanto a lei c'era un altro cadavere, quello di un uomo in camicia nera e stivaloni. "La polizia si affrettò a dire che era un caso di omicidio- suicidio. E il regime impose ai giornali la censura sull'intera vicenda", racconta Salvo Palazzolo, inviato di Repubblica, finito sotto scorta per i suoi articoli sui boss scarcerati. Palazzolo è l'autore del romanzo-inchiesta "L'amore in questa città", edito da Rizzoli, che svela la storia di Cetti Zerilli. Il libro ripercorre anche le denunce del padre di Cetti, che non si rassegnò alla versione ufficiale, e riprende le indagini di un cronista coraggioso, Nino Marino del Giornale di Sicilia, che dell'omicidio della studentessa non poté mai scrivere, ma poi raccontò la storia a un giovane collega, Aurelio Bruno, cronista di nera e giudiziaria a Palermo. "È stato Bruno a raccontarmi vent'anni fa il caso di Maria Concetta Zerilli. Ed è stato lui - dice Palazzolo - a sollecitarmi a riprendere le fila di una vicenda molto intricata".
Ma perché il fascismo ha oscurato la memoria di un omicidio così eclatante? Il padre della giovane vittima sosteneva che il vero assassino della figlia fosse un altro. Presentò anche un esposto a Mussolini ma finì in carcere durante la visita del duce in Sicilia, nel 1937. Riferisce ancora Palazzolo: "Aurelio Bruno mi raccontò che a Palermo arrivò un esponente autorevole del partito fascista per insabbiare definitivamente il caso".
Salvo Palazzolo ha però ritrovato all'archivio di Stato gli atti dell'inchiesta sui due cadaveri all'università, scoprendo così che pure un onesto giudice istruttore, Nicola Franco, aveva provato a cercare la verità, ma non gli era stato consentito di andare avanti: scomparvero prove importanti mentre la polizia depistava le indagini con falsi testimoni. "Non tutto è scomparso - dice ancora Palazzolo - perché ho ritrovato le lettere sequestrate a Cetti Zerilli che voleva solo vivere la sua vita in libertà". Ma alcune delle espressioni più private sono state giudicate come indice del "carattere facile di lei". E dunque sono state usate per fare calare l'oblio sul delitto.
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