ROMA - Il misterioso guardiano della pioggia, scultura della fine del 1800 in legno, mastice e conchiglie di un anonimo maestro di un villaggio della Nuova Irlanda,in Melanesia. Accanto a lui, L' oggetto invisibile (mani che tengono il vuoto), scura figura enigmatica in bronzo scolpita da Alberto Giacometti nel 1934. Un lungo arco di tempo separa queste due opere eppure, a guardarle affiancate, sembrano provenire dallo stesso mondo di forme e linguaggi, si fatica a pensare che arrivino da epoche e culture tanto distanti. Mira a suscitare questa "confusione" la mostra di grande fascino allestita fino al 20 gennaio nelle Terme di Diocleziano, a Roma, "Je suis l'autre. Giacometti, Picasso e gli altri. Il primitivismo e la scultura del Novecento". Nelle aule monumentali del grande centro benessere della Roma antica 80 opere raccontano l' "incontro fatale" a partire dal 1900 tra i grandi nomi dell'arte occidentale e i capolavori del mondo etnico, realizzati tra il 1400 e il 1800 in Africa, Americhe, Asia e Oceania, e gli esempi del periodo precolombiano. Un innamoramento che fu una rivoluzione destinata a trasformare il corso della scultura e l' intero panorama culturale. "Il progetto è innovativo e si fonda su una ricerca molto lunga - spiega l' antropologo Francesco Paolo Campione, curatore insieme con la storica dell' arte Maria Grazie Messina - . Fino ad oggi il rapporto degli artisti del '900 con i maestri dell' arte etnica era considerato per la ricerca di affinità formali, la scoperta di decorazioni e spunti. Qui c'è uno scatto forte.
Si racconta che quelle opere permisero di mettere a fuoco l'universo interiore degli artisti del Novecento, che poterono dare forma a sensazioni, emozioni e immagini fino ad allora impedite dalla soggezione al realismo". Si passa "dalle affinità a una rivelazione percepibile per tutti". La mostra non segue un criterio storico ma illustra un assortimento dei principi dell' antropologia dell' arte. "Possiamo dire - osserva Campione - che finora la ricerca su questo terreno è stata superficiale. Oggi abbiamo più strumenti per scendere in profondità. Per la prima volta un percorso tematico mostra che i grandi nomi del '900 e gli artisti etnici ed esotici avevano visioni e sensazioni comuni. Ciò che interessa gli artisti è che le opere manifestano una forza ed esprimono sentimenti che in precedenza non avevano trovato cittadinanza nell' arte. La scultura poteva dare forma a una emozione. Grazie al primitivismo l' artista si sente più libero di esprimersi e scopre che quello che stava cercando era già stato fatto da qualcun altro". Considerando in questo senso non solo i primitivi, le arti orientali, etniche e popolari, ma anche la pittura infantile o l'arte grezza e spontanea dei pazzi. Un insieme che configurò un vero "armamentario primitivista".
Cinque isole tematiche scandiscono il percorso: l' infanzia dell' essere, sulle origini e la memoria ancestrale; la visione e il sogno; il mondo magico; amore e morte; visibile e invisibile. Oltre a Giacometti e Picasso - di cui è esposto Visage, del 1961, piccola scultura in metallo verniciato - ecco la figura in bronzo di Mirò,la danzatrice di Marino Marini, la testa in legno dipinto del danese Herny Heerup, il Pierrot in bronzo di Max Ernst, la maschera geometrica formata da due triangoli di legno di Man Ray, l' Idolo di Mirko Basaldella.
Negli spazi suggestivi delle Terme - una delle quattro sedi del Museo Nazionale Romano - scorrono, Consagra, Pomodoro, Braque, Fontana, Manzoni e molti altri. Opere accostate, per certi versi quasi sovrapposte nel confronto, ai volti e alle teste enigmatiche lasciate dagli artisti senza nome dei paesi non occidentali. Sagome e corpi che parlano un linguaggio ancestrale, sganciati dalla necessità di aderire alla realtà, volti deformi dall' espressione misteriosa, che il bel catalogo Electa descrive accuratamente. "Non ci fu un grande maestro del '900 che non fu un grande collezionista di arte etnica - sottolinea Campione - . Tutti erano profondamente influenzati da quelle opere e da quegli oggetti. Scoprirono nei musei e nelle collezioni le forme che cercavano". La ricerca venne fatta propria da tre generazioni di artisti e si esaurì negli anni Settanta "quando scomparvero le distanze geografiche e di identità. Il primitivismo diventa storia. Tramonta una stagione che ci ha lasciato cose bellissime".
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