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Danilo Kiss e la speranza a Auschwitz

Danilo Kiss e la speranza a Auschwitz

Romanzo nero, ma ricco di umanità, su una fuga dal lager nazista

ROMA, 04 maggio 2025

Redazione ANSA

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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(di Paolo Petroni) DANILO KISS, ''SALMO 44'' (ADELPHI, pp.136 - 19,00 euro - Traduzione di Manuela Orazi) - I libri di Danilo Kiss, scrittore ebreo jugoslavo di lingua ungherese morto nel 1989 a 54 anni, per Milan Kundera il più grande di tutti gli esuli che erano a Parigi negli anni 80, sono sempre un dono, doloroso, che ferisce, ma salva con la bellezza della sua scrittura, dell'andamento del suo raccontare, delle sue visioni e metafore. E' quel che accade ora anche con ''Salmo 44'', opera giovanile inedita in Italia, che si apre con in lontananza il tuonare dei cannoni russi che si avvicinano, il sussurrare di un tentativo di fuga a breve, rimandata dopo che ''erano state uccise sul filo spinato tre donne, tra le quali Erzsike Kohn, della loro stanza''. Siamo a Birkenau, il campo di sterminio di Auschwitz, e sin dall'inizio questo straziante, memorabile romanzo di Danilo Kiss, che ci rimanda inevitabilmente a quel suo capolavoro che è ''Clessidra'', si gioca tutto tra speranza e terrore, tra puntare sulla vita stando in attesa a fianco della morte. Maria, la protagonista, passa infatti in baracca le notti accanto a Polja, prima malata e poi morta, l'amica violoncellista nell'orchestra del lager che avrebbe dovuto fuggire con lei e l'intraprendente Jeanne, e lo fa tenendo stretto il figlio neonato Jan, che ha miracolosamente avuto di nascosto e vuole assolutamente portar via, salvare dalla fine certa che lo attenderebbe in quel luogo di orrore. Quindi il racconto vive il tempo dell'attesa, del momento in cui si possa scappare prima che i nazisti decidano di evacuare il campo, che vuol dire la fine per tutti. Un tempo in cui si affollano ricordi delle mostruosità trascorse essendo stata la donna scelta da dottor Mengele per i suoi esperimenti, la separazione da Jakub, l'uomo che lavorava prigioniero nel laboratorio medico e è diventato padre senza saperlo, le sofferenze e violenze quotidiane; un tempo che dà sostanza al racconto e coinvolge sino all'Epilogo, sei anni dopo con un ritorno in visita al campo assieme all'uomo, anche lui sopravvissuto e ritrovato.
    Kis racconta, senza omettere nulla, aggiungendo anzi, arricchendo e dilatando con fatti e sentimenti la bestialità della situazione che però non perde mai la sua dimensione di umanità e pian piano, con una scrittura sincopata, lucida, essenziale e ricca assieme, ci introduce trascinandoci come in una spirale nella vita del luogo, di Maria e di tutti gli altri, vittime e carnefici facendoci sentire vivi le prime, ma anche i secondi con i loro metodi umilianti e distruttivi. Il salmo 44 cui rimanda il titolo parla di distruzione e odio ma nel segno della speranza, che per Kiss ''è una necessità, per questo dobbiamo inventarcela'', altrimenti non c'è né memoria, né futuro.
    Il padre di Kiss fu arrestato e ucciso in un lager quando lui aveva sette anni, dopo le persecuzioni e massacro degli ebrei di Novi Sad; a dodici ha perso anche la madre e si sente crescere lasciando una scia di morti dietro di sé, e non si parla ovviamente solo dei familiari. I morti allora per lui saranno una presenza viva nei suoi libri, diverranno protagonisti di un mondo scomparso che cercano di sopravvivere e in lotta contro il male, attraverso cui si aiuta la conoscenza e si alimenta l'orrore per quel che fu e che ha segnato la storia e tutta la cultura occidentale. Ecco allora tutti i suoi libri, da ''Giardino cenere'' a ''Una tomba per Boris Davidovic'', che avranno un momento esemplare, sin dal nome, nelle novelle della ''Enciclopedia dei morti'', a cominciare da quella che dà il titolo e narra di un lavoro in migliaia di volumi che raccoglie le voci, i nomi di tutti coloro che non compaiono in alcun'altra enciclopedia, gli ignoti che hanno comunque vissuto e come esseri umani hanno pari dignità di tutti gli altri.
   
   

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