(di Mila Onder)
In tempi di inflazione a due cifre,
la rivalutazione solo parziale delle pensioni pesa come una
nuova tassa. E' tranchant il giudizio che l'Ufficio parlamentare
di bilancio dà della norma sulle nuove 'fasce' di rivalutazione
inserita in manovra. Per le quote delle pensioni calcolate con
le regole contributive (destinate a crescere nel tempo), il
rallentamento o il congelamento anche temporaneo della
rivalutazione "è da considerarsi alla stregua di un'imposta. Se
viene indebolita la regolare indicizzazione ai prezzi anno per
anno, alla fine il pensionato riceve, come rendita, meno di
quanto gli spetterebbe", segnala l'Authority dei conti pubblici,
concludendo che "le regole sulla rivalutazione dovrebbero
rimanere il più possibile stabili".
In un lungo documento depositato presso le Commissioni
Bilancio di Camera e Senato che stanno esaminando la legge di
bilancio, l'Ufficio guidato da Lilia Cavallari fa quindi il
punto sulle principali norme in materia pensionistica, partendo
dalla nuova Quota 103. Se tutti coloro che potranno aderire al
nuovo sistema lo faranno, le maggiori pensioni in pagamento a
fine anno saranno oltre 56.400 nel 2023, circa 40.800 nel 2024 e
poco meno di 6.400 nel 2025. Gli utilizzatori sarebbero
soprattutto uomini (circa l'85%), nonostante i limiti imposti a
Opzione donna che riducono fortemente la platea delle
beneficiarie. Poco più del 13 per cento proverrebbe dal comparto
pubblico, prosegue l'Ufficio parlamentare di bilancio, spiegando
che nel settore privato, circa il 65% sarebbe costituito da
lavoratori dipendenti, poco meno del 24% da lavoratori autonomi
e il resto da parasubordinati, iscritti alle gestioni separate e
lavoratori dello spettacolo (ex Enpals).
Il nuovp 'bonus Maroni', l'incentivo a restare al lavoro è
invece "meno conveniente" del bonus del 2004 e rischia di non
risultare particolarmente appetibile, "se non per chi ha un
immediato bisogno di liquidità". La norma prevede che chi entro
il 2023 soddisferà i requisiti di Quota 103 ma sceglierà di non
andare in pensione anticipata potrà chiedere che i contributi a
proprio carico (poco più del 9% della retribuzione lorda) non
vengano versati dal datore di lavoro all'Inps, ma in busta paga.
La misura, un incentivo a non lasciare il lavoro prima di aver
maturato i requisiti di anzianità o vecchiaia, prende a modello
il cosiddetto "bonus Maroni" del 2004, che però, sottolinea
l'Ufficio parlamentare di bilancio, era più conveniente per tre
ragioni. Innanzitutto all'epoca i requisiti per la pensione
erano molto inferiori, quindi la misura si rivolgeva a
lavoratori più giovani, per i quali era meno gravoso continuare
a lavorare; inoltre in busta paga erano riconosciuti sia i
contributi a carico del lavoratore sia quelli a carico del
datore di lavoro; infine, le pensioni dei lavoratori coinvolti
erano calcolate per intero con il metodo retributivo e questo
rendeva convenienti le uscite anticipate.
A prova della scarsa appetibilità del meccanismo, l'Upb cita
la Relazione tecnica alla misura in cui si stima che
l'agevolazione sarà usata da appena 6.500 persone, ossia meno
del 10% degli individui che, secondo stime basate su dati Inps,
l'anno prossimo saranno ancora in attività pur avendo i
requisiti per andare in pensione.
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