"Fate sì che tutte le Laura Santi
d'Italia non debbano soffrire": è l'appello di Laura Santi, la
giornalista di 50 anni, affetta da una forma progressiva e
avanzata di sclerosi multipla, che ha avuto il via libera
dall'Usl Umbria 1 per l'accesso al suicidio assistito ma che
ancora è in attesa di conoscere modalità di esecuzione. Lo ha
lanciato a Perugia in occasione della partenza anche in Umbria
della campagna "Liberi subito", la raccolta firme sulla legge di
iniziativa popolare promossa dall'associazione Luca Coscioni per
garantire "tempi certi e procedure chiare" per l'accesso al
suicidio medicalmente assistito.
Santi ha partecipato alla raccolta delle firme presso un
gazebo allestito in piazza Italia, a Perugia. Presenti Marco
Cappato, Matteo Mainardi e la sindaca del capoluogo, Vittoria
Ferdinandi.
"Io sto sempre più male - ha detto Laura Santi - e avere
questa libertà in mano significa vivere al meglio il tempo che
mi resta, quale che sia. Non pensate però a me, ai miei tre anni
di battaglia legale ancora non conclusa, la mia è una storia
piccola, come me ce ne sono tanti in Italia di malati che
soffrono e sono in balia di quella che io chiamo crudelmente la
'lotteria del fine vita'. Tempi e modalità di risposta veramente
biblici, inumani, non dignitosi, non rispettosi di una
sofferenza grave. Questa legge impone tempi e modalità certe di
risposta ai malati. Noi non facciamo nessuna fuga in avanti".
La donna, che ha già preso contatti in Svizzera, ha quindi
riferito che per quanto riguarda il suo caso sarebbero stati
fatti passi in avanti e una risposta dovrebbe arrivare nei
prossimi giorni. "Farlo qui in Italia, farlo nel mio letto - ha
proseguito Laura - per me sarebbe molto più tranquillo".
"Questa non è la campagna dell'Associazione Luca Coscioni o
di Laura Santi - ha detto Cappato - ma è l'iniziativa di chi la
vuole fare propria, senza alcuna preclusione di partito, di
schieramento, di orientamento religioso, filosofico, laico,
questa battaglia. Questa proposta dice una cosa semplice: questa
legge c'è ed è legale, c'è un dovere per il sistema sanitario a
rispondere. In sei anni sono sette le persone in tutta Italia
che hanno ottenuto questo diritto. La scelta di lasciare
aspettare anni una persona per poter attivare un proprio diritto
è una scelta criminale perché può indurre a suicidi che si
potrebbero prevenire".
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