Per la Corte di Cassazione "deve essere censurato" il "ragionamento indiziario posto a base" della condanna di secondo grado di Marco Viérin e Dario Comé (Stella Alpina). Lo scrivono i giudici della sesta sezione penale nelle motivazioni della sentenza con cui, lo scorso 30 marzo, hanno confermato la penale responsabilità di 13 dei 15 imputati nel processo sull'impiego dei fondi dei gruppi del Consiglio regionale della Valle d'Aosta nella legislatura 2008-2012, prosciogliendo soltanto i due politici di Stella Alpina ("perché il fatto non sussiste"). In Appello erano stati condannati a un anno e 10 mesi di reclusione ciascuno per peculato. Insieme ad André Lanièce, già assolto in secondo grado, erano accusati di aver versato sui propri conti assegni per circa 138 mila 600 euro, tratti dal conto del gruppo.
Il ragionamento alla base della condanna di secondo grado per Marco Viérin e Dario Comé, scrivono i giudici di Cassazione, "risulta congetturale ed ipotetico avendo conferito valore indiziante a circostanze di fatto prive della necessaria univocità: la omogenea entità del versamento mensile non si confronta, se non genericamente, con la dedotta inferiorità del contributo rispetto alle effettive spese sostenute e sconta la insufficienza del parametro adottato palesata dalla assoluzione del coimputato Lanièce per la sola circostanza della variabilità degli importi; inoltre, risulta del tutto generica, per indiziare la illiceità delle percezioni, la comparazione con i due ricorrenti e gli altri coimputati".
Per di più "l'insufficienza indiziante di ciascuno degli elementi considerati non può essere ritenuta superata dalla loro unitaria valutazione, sostanzialmente rimasta legata ad una ipotesi, che - pertanto - rimane al di fuori dell'alveo di legittimità ricordato".
In termini generali, scrivono i giudici nella sentenza depositata il 29 maggio, la "illegittimità della destinazione" costituisce "errore o ignoranza" e "non vale ad escludere l'elemento soggettivo del reato di peculato che consiste nella coscienza e volontà di far proprie somme di cui il pubblico ufficiale ha il possesso per ragioni del suo ufficio".
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