(di Giorgio Neri)
Cinquant'anni fa la rivolta di
Reggio Calabria.Era il 14 luglio 1970 quando si materializzò un
evento lacerante, definito rivolta fascista per il ruolo che
assunse il Movimento Sociale Italiano. Tutto ebbe inizio, però,
il 5 luglio quando l'allora sindaco, Piero Battaglia (Dc), con
il suo "Rapporto alla città" , informò i reggini dell'accordo
politico-istituzionale in atto a Roma, sull'asse
Catanzaro-Cosenza, ai danni di Reggio Calabria. Fu la scintilla
di una rivolta - passata alla storia come i "Moti di Reggio
Calabria" - che diventerà inarrestabile all'indomani della
decisione di convocare a Catanzaro la prima seduta del neo
eletto Consiglio regionale della Calabria.
"All'inizio fu solo una protesta - racconta uno dei
protagonisti di quei giorni, Fortunato Aloi, ex parlamentare e
dirigente del Ms i- che non riuscendo a trovare un interlocutore
si trasformò presto in rivolta". L'Italia in quei giorni era
senza una guida. Dopo soli 131 giorni si era dimesso il III
Governo Rumor e si dovette attendere il 6 agosto per avere un
nuovo esecutivo, guidato dal dc Emilio Colombo, con Psi, Psdi e
Pri in cui ricoprivano importanti ruoli esponenti della politica
catanzarese e cosentina.
La mattina del 14 luglio, un corteo spontaneo partì dal
quartiere Santa Caterina. Lo guidava proprio Natino Aloi. Da sei
che erano in partenza, divennero trentamila. "Scelsi di
difendere la città - spiega oggi Aloi - dal momento che tutti i
partiti, nessuno escluso, per motivazioni di ordine regionale e
nazionale, anche se il vero potere era concentrato tra Catanzaro
e Cosenza, decisero di non pronunciarsi". E così Reggio divenne
teatro di una guerriglia urbana senza precedenti. In piazza
scesero tutte le categorie professionali. C'erano anche Demetrio
Mauro, industriale del caffè, e Amedeo Matacena, armatore
privato dei collegamenti navali nello Stretto, e l'ex comandante
partigiano Alfredo Perna. Fu anche la rivolta delle donne.
Persino la Curia, con a capo l'Arcivescovo mons. Giovanni Ferro,
tra polemiche e feroci attacchi difese la protesta per il
capoluogo. Reggio finì allo sbando. Molti quartieri si
autoproclamarono indipendenti, come la 'Repubblica di Sbarre' e
il 'Gran ducato di Santa Caterina'. La protesta non risparmiò il
centro, teatro di roghi, assalti, scontri con la 'Celere' che
culminarono con l'assedio e l'incendio della Questura e che solo
grazie alla lungimiranza del questore Emilio Santillo, non si
trasformarono in tragedia. Da Roma, il Governo non accettò
mediazioni, rispose con la forza e fece in modo che
l'informazione pubblica dei tg nazionali mettesse la sordina
alla protesta. Ma la rivolta occupò le prime pagine dei
quotidiani nazionali.
"Fu una rivolta di popolo, spontanea ed interclassista",
dice Aloi che assieme a Ciccio Franco, Renato Meduri e Antonio
Dieni, prese in mano la rivolta che diventò la lotta del Msi.
Alla fine rimasero i morti, cinque, tre civili e due poliziotti,
i tanti feriti, gli arresti e i processi che continuarono per
anni e le oscure vicende che fecero della rivolta di Reggio del
'70, una sorta di campo di addestramento di un più ampio
progetto della destra eversiva, quella che voleva sovvertire
l'ordine democratico, con la presenza a Reggio di Junio Valerio
Borghese, Franco Freda, Stefano Delle Chiaie. E i legami con
oscuri settori massonici e della 'ndrangheta in un sodalizio
politico-criminale con numerosi attentati, come quello che il 22
luglio 1970 fece deragliare a Gioia Tauro il treno Torino-Reggio
Calabria. Un incidente che provocò la morte di sei persone. Si
andò avanti fino al 1971 quando Il Governo decise di chiudere la
partita con la forza, inviando a Reggio reparti dell'esercito e
decine di carri armati. Arrivarono poi le promesse: il famoso
"Pacchetto Colombo" e la concessione a Reggio della sede del
Consiglio regionale, gli investimenti della Liquichimica di
Saline Joniche, poi operativa solo per pochi mesi, il porto di
Gioia Tauro come terminale del V Centro Siderurgico italiano,
mai realizzato. "E' una data della storia - dice ancora Aloi -
che ci deve far riflettere e, soprattutto, non ci deve far
commettere gli stessi errori. La rivendicazione del capoluogo fu
allora solo uno degli aspetti di quei fatti. i "Moti di Reggio
Calabria" rappresentano una rivolta morale determinata da
profonde motivazioni sociali ed economiche che restano purtroppo
valide ancora oggi".
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