I video della protesta dei
detenuti del carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) del 5
aprile 2020, fatti che diedero luogo il giorno dopo alla
perquisizione straordinaria della polizia penitenziaria poi
degenerata nei pestaggi ai danni degli stessi reclusi, furono
tagliati dal consulente della Procura durante la fase delle
indagini preliminari, privando le difese dei poliziotti di
dettagli ritenuti rilevanti, come i frame in cui si vedevano i
detenuti rompere le gambe ai tavolini trasformandole in bastoni.
E' emerso nel maxi-processo in corso all'aula bunker del carcere
di Santa Maria Capua Vetere, che vede coinvolti 105 imputati,
soprattutto poliziotti penitenziari, ma anche funzionari del Dap
e medici dell'Asl in servizio all'istituto il 6 aprile 2020,
quando in peno lockdown avvenne quella che il giudice per le
indagini preliminari definì "orribile mattanza".
La questione dei video delle proteste del 5 aprile, avvenute
nel reparto Nilo del carcere sammaritano e scoppiate dopo che i
reclusi ebbero notizia della positività al Covid di uno di loro,
è tra le più dibattute nel processo, visto che per i pm
Alessandro Milita, Alessandra Pinto e Daniela Pannone, non si
trattò di una rivolta, ma di una normale protesta con
barricamento, e gli oggetti poi sequestrati dalla polizia
penitenziaria il giorno dopo, ovvero le spranghe ottenute dai
letti o i bastoni realizzati con le gambe dei tavoli, per la
Procura furono preparati dagli stessi agenti per sviare le
indagini sulle violenze e far apparire pienamente giustificata
la perquisizione del 6, che a parere della Procura era
illegittima.
Per le difese degli imputati invece, il 5 aprile 2020 i
detenuti diedero vita ad una violenta rivolta, in cui si
"armarono" con strumenti pericolosi, come emerge dai frame in
cui si vedono brandire le gambe dei tavoli appena rotte, ma
quelle immagini, a loro parere, non furono subito messe a
disposizione danneggiando l'impostazione difensiva davanti al
Gip, che emise le ordinanze di custodia cautelare, e al
Tribunale del Riesame.
Il consulente della Procura Pietro Izzo, sentito come
testimone, ha confermato in aula, rispondendo ad una domanda
dell'avvocato Giuseppe Stellato, difensore dell'ex comandante
della Penitenziaria al carcere casertano Gaetano Manganelli
(imputato), che fece "i tagli ai video su input della polizia
giudiziaria (carabinieri - ndr) per la mole enorme dei filmati
da dover visionare a fronte di tempi ridotti".
Dai 40 minuti integrali, si vede in effetti che i detenuti
misero i tavoli davanti al cancello di ingresso del Nilo e ad un
certo punto alcuni ne staccarono le gambe trasformandole in
bastoni. Ma quei video integrali, è già emerso nelle passate
udienze del processo, erano stati in effetti allegati dalla
Procura agli atti su cui il gip Sergio Enea si basò, nel giugno
2021, per emettere i provvedimenti cautelari, tra arresti in
carcere, domiciliari e divieti vari; il problema pratico è che i
difensori non riuscirono ad aprirli perché necessitavano di un
apposito programma informatico.
Altra questione relativa sempre ai supporti digitali è quella
dei cellulari degli imputati, tutti sequestrati in fase di
indagine, e su cui è al lavoro da qualche mese un perito,
Massimo D'Addio, nominato dal presidente del collegio giudicante
di Corte d'Assise Roberto Donatiello, che deve bonificare i
telefonini da chat e immagini private degli imputati, per non
incorrere in violazione della privacy. Il problema era venuto
alla luce quando nel gennaio 2023, con il processo partito da
qualche mese, la Procura aveva depositato le copie dei
cellulari, senza però eliminare il materiale personale degli
imputati. Così la Corte, su richiesta di alcuni avvocati, tra
cui Luca Tornatora, difensore della Commissaria Anna Rita
Costanzo, restituì le copie alla Procura perché incaricasse
nuovamente i consulente di fare la selezione, cosa però non
avvenuta, come emerso nel deposito del novembre scorso, tanto
che la Corte si è mossa in autonomia nominando un proprio
perito.
Ieri in aula in consulenti hanno ricordato di aver
interloquito con la Procura circa le difficoltà che avevano
nell'eliminare il materiale privato degli imputati. In merito al
cellulare della Costanzo, è infine emerso che furono fatti due
accessi da parte dei consulenti, e non perché, come ritenuto dal
pm, la Commissaria avesse cancellato delle chat, ma perché, come
dimostrato dal suo legale, il cellulare si era bloccato.
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