Non esiste una terapia specifica
contro la sindrome metabolica, l'insieme di condizioni mediche
in grado di aumentare significativamente il rischio di
sviluppare malattie cardiovascolari, diabete di tipo 2 e altre
gravi patologie, ma la perdita di peso e uno stile di vita sano
rimangono le armi più efficaci per prevenirla. Lo ribadiscono
gli esperti nel corso del 31° Congresso nazionale delle Malattie
Digestive, promosso dalla Federazione Italiana delle Società
delle Malattie dell'Apparato Digerente (Fismad), a Roma fino al
15 aprile. "Non esiste una terapia specifica contro la sindrome
metabolica, a parte il consiglio di seguire la dieta
mediterranea ed un corretto stile di vita, basato sul controllo
del peso corporeo e sulla regolare attività fisica - spiega
Gianluca Svegliati Baroni, Associato in Gastroenterologia
all'Università Politecnica delle Marche e responsabile della
struttura dipartimentale Danno Epatico e Trapianti presso
l'Azienda Ospedaliero-Universitaria delle Marche di Ancona-. I
medici di base possono gestire le prime fasi della terapia
aiutando il paziente a correggere lo stile di vita, incentivando
l'attività fisica quotidiana che lo aiuti a perdere quella quota
di peso necessaria a guarire". In particolare, per il danno
epatico legato alla sindrome metabolica, è dimostrato che la
perdita fra il 7 e il 10% del peso corporeo porta alla
risoluzione delle anomalie istologiche. "La maggior parte delle
malattie epatiche - prosegue - è legata a fattori metabolici e
all'alcol. Il 90% di queste patologie potrebbe essere curato
semplicemente modificando lo stile di vita". Una delle
alternative terapeutiche della sindrome metabolica è la
chirurgia bariatrica applicata però solo a pazienti con obesità
severa e in condizioni cliniche ottimali. All'Università
Federico II di Napoli, il gruppo guidato da Filomena Morisco ha
avviato uno studio sull'uso della chirurgia nei pazienti con
Metabolic dysfunction-associated steatotic liver disease
(Masld). "L'obiettivo - spiega - era valutare il miglioramento
della steatosi e della fibrosi epatica dopo l'intervento". Lo
studio ha coinvolto 96 pazienti, con controlli clinici ed
elastografia. "I risultati sono stati positivi e rapidi: già
dopo 6-12 mesi si è osservata una riduzione significativa dei
danni al fegato". Un'altra via in fase di studio è quella
farmacologica. "Stiamo valutando l'efficacia dei Glp-1 agonisti,
già usati contro il diabete, che aiutano a perdere peso e
migliorano steatosi e steatoepatite, spesso legate alla sindrome
metabolica", conclude.
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