(di Fabrizio Cassinelli) Il divario tra le zone avanzate e ipertecnologiche del pianeta e il cosiddetto Terzo mondo può essere colmato, estendendo l'accesso a internet alle popolazioni povere e alle regioni isolate del globo? E qual' è la situazione del digital-divide in casa nostra, tra metropoli e provincia? Di queste e altre prospettive si è parlato, in occasione dell'appena concluso salone di Bookcity, a Milano, in una serata dedicata al web. Perché, come è stato spiegato nel dibattito "il problema del divario digitale tra cittadini non è solo un problema del terzo mondo, ma anche dell'Italia".
A offrire importanti spunti di riflessione è stata la proiezione (in esclusiva per l'Italia - organizzata da Fastweb) del documentario 'Web, The film' di Michael Kleiman. Per dieci mesi infatti il regista ha vissuto in piccoli villaggi sulle Ande e nella Foresta Amazzonica in Perù, documentando le prime esperienza degli abitanti del villaggio con i computer e internet attraverso il progetto "One Laptop per Child program".
Un'iniziativa internazionale, che mira a fornire di un pc robusto e adatto ai bambini le scuole in luoghi isolati o svantaggiati, in modo da permettere agli scolari delle scuole inferiori di connettersi alla Rete e ampliare i propri orizzonti. Il film è quindi una riflessione sul mondo digitale, ma ci ricorda anche che il 'digital divide' (la differenza nella possibilità di accesso agli strumenti digitali e la disparità nell' acquisizione di risorse o capacità necessarie a partecipare alla società dell'informazione, NdR) non esiste solo tra paesi ricchi e poveri, ma anche in Italia, tra metropoli sempre più digitalizzate e 'social' e la provincia, dalla fenomenologia più lenta e tradizionale. Al dibattito hanno partecipato Matteo Ulrico Hoepli, General Manager di Hoepli.it, Carlo Alberto Carnevale Maffè Docente di strategie e imprenditorialità allo Sda Bocconi e Michele Vianello, Digital evangelist. "Siamo di fronte a profonde trasformazioni del tessuto e dell'organizzazione sociale, ma amministratori e politici non le vedono - spiega il professor Carnevale Maffè - e continuano invece a misurare il territorio in base a vecchi concetti, come il numero di connessioni. Ma questo dato non è qualificante: quello che conta è invece la densità di interazioni". Si tratta del volume di interscambi generati dall'attività sul web in un certo gruppo di persone, che quindi costituiscono di fatto una 'comunità'. Perché "poco importa se abbiamo 300 mila connessi da casa che una volta alla settimana scambiano foto personali e faccette su internet - dice ancora il professor Carnevale - Quello che conta sono quelle aree dove la gente interagisce prevalentemente via web: immaginate un luogo del centro dove si scambiano mail di lavoro, si prenota l'auto a noleggio con un'App, la spesa la si ordina online, i film si vede sulla rete, si organizzano appuntamento su un social, si condividono informazioni tra classi di studenti con un'applicazione, si compiono operazioni finanziarie online e si interagisce con la pubblica amministrazione... insomma si vive digitale. Questa è una community di fatto, e divario tra questa organizzazione socioeconomica delle grandi città e la provincia è sempre maggiore" tanto che rischiamo, nei prossimi anni, di avere cittadini molto diversi tra loro, in Italia.
"Tanto per fare un esempio si possono creare comunità anche temporanee - aggiunge il docente - in un mio recente studio ho analizzato le interazioni di una località sciistica in quota, che come numero di connessioni ha numeri scarsissimi, dato che è quasi disabitata, ma che per tre mesi l'anno diventa sede di una moltitudine di turisti, tutti interconnessi a svariate attività, che di fatto realizzano una cittadina virtuale". Chi studia demografia e antropologia è avvisato.
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