VENEZIA - ''Vedrai, ci saranno delle cose felici, il ripiglio di molti temi si cari ai neo-platoni della nostra rinascenza. In alto (è la parte in via d'esecuzione) ci sarà la lotta della castità e la lussuria, ed i carri degli uomini casti e delle donne lussuriose sono tirati dai liocorni e dalle pantere bacchiche. Sotto le cariatidi maschili sorreggono la targa ed a destra ci sarà l'Invidia, Psiche ed Amore, ed a sinistra - Atropos (la parca che taglia il filo), Anteros e la Fortuna". Giulio Aristide Sartorio scrive così in una missiva, il giorno di Natale, ad Antonio Fradeletto, che qualche mese prima, l'11 giugno 1906, lo aveva invitato con un telegramma alla realizzazione di un "progetto gigantesco". Fradeletto era allora segretario generale della Biennale, e all'artista romano aveva chiesto un grande ciclo decorativo per il Salone centrale dell'Esposizione internazionale del 1907. Si trattava di illustrare il Poema della vita umana sulla base della mitologia antica e lui realizzò un capolavoro destinato a segnare la storia dell'arte. Nel 1909 il Re d'Italia destinò le 14 scene realizzate da Sartorio a Ca' Pesaro che ora le presenta in una straordinaria mostra che ripropone la storica esposizione de La Biennale ai Giardini; le sale adiacenti ricostruiscono il momento storico e rievocano lo spirito del tempo tra opere di artisti coevi a Sartorio, primi fra tutti Auguste Rodin e Max Klinger - presenti nell'allestimento del 1907- Henri Fantin-Latour, Ettore Burzi, Galileo Chini, partecipi del sogno simbolista, del realismo, fino alle soglie delle avanguardie storiche.
Nasce così "Giulio Aristide Sartorio. Il Poema della vita umana", la mostra a cura di Matteo Piccolo ed Elisabetta Barisoni, che sarà alla Galleria Internazionale d'Arte Moderna di Ca' Pesaro (sale espositive del secondo piano) a Venezia, dal 16 maggio al 28 settembre 2025.
''Quando Giulio Aristide Sartorio si impegnò nella grande, titanica impresa di decorare il salone del Padiglione Centrale della Biennale di Venezia - spiega Elisabetta Barisoni presentando la mostra che ha curato insieme a Matteo Piccolo -, non poteva sapere con certezza quanta importanza quel ciclo decorativo avrebbe avuto per i suoi contemporanei e per gli anni a venire. Il ciclo monumentale arriva a noi come una delle opere più significative di arte decorativa pubblica, a rappresentare il sogno di un un'epoca profondamente simbolista e al contempo la grandiosa esperienza di nascita delle collezioni veneziane di arte moderna''.
Del resto Giulio Aristide Sartorio, paesaggista e pittore d'idea, dà il meglio di sé nei grandi cicli decorativi: questo per la Biennale del 1907 e per Montecitorio (1908-1912), erano stati anticipati già dalle decorazioni per le sale del Lazio alla Biennale del 1903 e all'Esposizione Internazionale del Sempione a Milano del 1906. Opere che sono il frutto della sua esperienza internazionale degli anni precedenti, della collaborazione con Gabriele D'Annunzio - che diede il via libera anche al ciclo - poi la medaglia d'oro all'Esposizione Universale di Parigi (1889) e tra il 1893 ed il 1894 il viaggio in Inghilterra, dove conosce l'opera di Burne-Jones, Rossetti e Morris.
Qui nella furia dinamica delle quattro scene principali del Poema della vita umana: La Luce, Le Tenebre, L'Amore, La Morte l'artista propone una visione drammatica dell'esistenza. La complessa iconografia messa in campo da Sartorio appare come la sintesi tra mondo mediterraneo e cultura nordica. Per portare a termine i circa 230 metri quadrati dell'opera in soli nove mesi adotta una tecnica pittorica rapida: "una miscela di cera, acquaragia e olio di papavero". Grazie all'ultimo restauro, avvenuto tra il 2018 e il 2019, finanziato da Chanel tramite Art Bonus, è stato possibile raccogliere un'ampia documentazione scientifica.
Le sezioni della mostra, dopo questa prima, scenografica sala, suggeriscono altre visioni della ricerca di Sartorio, a partire dalla pittura di paesaggio; per poi ripercorrere il sogno che attraversa l'Europa ai primi del '900; fino ai lavori di alcuni interpreti del Simbolismo internazionale. Il viaggio diventa in parallelo una storia della Biennale: a popolare la quinta sala sono gli autori della più raffinata scuola belga, il primo Padiglione Internazionale sorto nei Giardini, insieme a protagonisti provenienti dai territori tedeschi e austriaci, per arrivare fino alla pittura inglese e svedese.
Un viaggio che, scandito dai protagonisti delle collezioni capesarine, arriva nel cuore della grande tradizione artistica occidentale: nel 1910, grazie all'intuizione di pochi, tra cui Barbantini, entrerà a Ca' Pesaro l'opera più celebre delle raccolte civiche: Giuditta II di Gustav Klimt, capolavoro esposto come molti altri nelle sale del I piano del Museo, prosecuzione ideale della mostra.
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