(di Michele Esposito)
Nessun insulto alla storia, al
Manifesto di Ventotene, all'Europa. Ad essere "insultata alla
Camera", da una "sinistra che mostra un'anima illiberale e
nostalgica sono stata io: sono rimasta sconvolta". Ad una
manciata d'ore dal caos generato dalle sue parole in Aula,
Giorgia Meloni è passata al contrattacco. Lo ha fatto a margine
del vertice dei 27 a Bruxelles, scegliendo di parlare a summit
non ancora terminato, forse proprio per dare un peso adeguato
alla sua linea sul Manifesto di Ventotene. Una linea che la vede
non arretrare di un millimetro, e che è destinata a rinfocolare
le polemiche.
Il capo del governo, del resto, è volata a Bruxelles sulla
scia della bagarre provocata alla Camera e dell'assolo di
Roberto Benigni su RaiUno a difesa dell'Ue. Il tema è stato
anche al centro della cena che Meloni, mercoledì sera, ha
organizzato in un albergo della capitale belga con gli
eurodeputati Fdi e i ministri Francesco Lollobrigida e Tommaso
Foti. Una cena informale, segnata da selfie e sorrisi. Un
appuntamento durante il quale, secondo diversi presenti, i
convitati hanno destinato una standing ovation alla premier per
le sue parole su Ventotene. Parole giudicate, hanno spiegato le
fonti, "una geniale" mossa tattica nei confronti
dell'opposizione. Tanto che qualcuno a tavola avrebbe
ironizzato: la mossa meriterebbe "i 92 minuti di applausi che ha
Fantozzi sulla Corazzata Potemkin". Fonti di Palazzo Chigi hanno
tuttavia smentito categoricamente quanto è emerso dalle
ricostruzioni della cena. Meloni, hanno sottolineato le fonti
del governo, non ha mai definito la sua citazione del Manifesto
"una trappola" in cui sarebbero "cascati esponenti
dell'opposizione con reazioni isteriche", né "una mossa
mediatica" che "ha fatto impazzire la sinistra".
Un dato, tuttavia, è certo. Nel dibattito politico,
piuttosto che dei dossier sul tavolo del vertice dei 27, si è
parlato di Ventotene. E il caso è destinato a non spegnersi.
"Ricordo straordinari editoriali di Eugenio Scalfari dove
insegnava che l'unica forma di democrazia è l'oligarchia, è un
concetto che non condivido. Chiedo alla sinistra quale messaggio
vuole dare distribuendo oggi quel testo", ha osservato Meloni,
andando a toccare uno dei punti di riferimento della sinistra
liberale italiana.
E' solo nelle pieghe della battaglia politica sul Manifesto
del 1941 che sono emerse le criticità rivendicate dalla premier
al vertice Ue. Meloni, oltre al dossier migranti, si è
concentrata sul tema del riarmo. In un bilaterale con Ursula von
der Leyen ha ribadito la sua posizione: "Serve puntare su
strumenti davvero comuni che non pesino sul debito nazionale".
Strumenti che, tuttavia, non potranno essere gli eurobond. Il
muro dei frugali, in questo caso, è invalicabile. E allora
l'Italia sta aumentando il suo pressing su un piano B che poggia
sull'idea di "mettere garanzie europee sugli investimenti
privati". Una proposta, ha sottolineato Meloni, che in Ue è
stata accolta.
La freddezza della premier sul RearmEu, a quanto si apprende
da alcune fonti diplomatiche europee, è emersa anche al tavolo
del summit, dove il capitolo difesa è stato adottato dopo cena.
"Le risorse sembrano molte ma sono virtuali", ha sottolineato
Meloni anticipando che non deciderà se attivare o meno la
clausola di salvaguardia entro aprile, come chiede Bruxelles.
C'è infine un altro aspetto sul quale Meloni terrà il punto: il
boom agli acquisti di armi non può essere segnato solo dal 'buy
European'. "Escludere l'industria Usa è un errore", ha avvertito
il ministro degli Esteri Antonio Tajani. L'Italia, sui rapporti
con Donald Trump, non cambia binario.
E sui dazi Meloni ha chiesto nuovamente prudenza, dicendosi
soddisfatta della "lucida" decisione di rinviare le contromisure
Ue. L'idea di fare da ponte tra le due sponde dell'Atlantico è
meno percorribile di qualche tempo fa, ma resta nella testa
della premier. "Andrò alla Casa Bianca, ma non ho ancora una
data", ha assicurato prima di congedarsi dai cronisti e
riprendere posto al tavolo dei 27.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA