(di Alessandra Briganti)
Nessuna quiete dopo la tempesta.
La nuova stretta su libertà civili e diritti umani varata
dall'Ungheria scuote un'Europa già esasperata dalla politica del
muro contro muro eretta da Viktor Orbán. Troppe le linee rosse
varcate da Budapest negli ultimi mesi tanto che inizia ad
allargarsi il fronte di chi chiede di azionare 'l'opzione
nucleare' per sospendere i diritti di adesione dell'Ungheria
all'Ue. La stessa Commissione europea ha dismesso i panni della
prudenza, promettendo di "esaminare con molta attenzione" gli
emendamenti alla Costituzione adottati dal Parlamento ungherese
e di "agire se necessario".
Diversi gli aspetti da valutare, primo tra tutti l'asserito
primato del diritto dei minori a un "corretto sviluppo fisico,
intellettuale e morale" sugli altri diritti fondamentali, tra
cui la libertà di riunione pacifica. Di fatto, una messa al
bando del divieto di organizzare e partecipare alle marce del
Pride e ad altri eventi Lgbtqi+. Ma la crociata di Orbán si è
spinta oltre, con il riconoscimento in Costituzione di due
sessi, maschile e femminile, negando così sul piano giuridico
altre identità di genere.
"Il tempo delle valutazioni e della prudenza è finito: si
deve agire subito", ha commentato l'europarlamentare del Pd
Alessandro Zan che annuncia di voler presentare
un'interrogazione alla Commissione per "chiedere quali azioni
concrete intenda intraprendere contro questa violazione
inaudita". Dello stesso tenore, il collega di partito, Brando
Benifei, che ha parlato di "grave violazione dei principi
fondanti dell'Unione Europea, un attacco alla libertà" davanti
al quale, ha detto, "non resteremo in silenzio".
Nei giorni scorsi, il commissario europeo alla Giustizia
Michel McGrath aveva già messo in guardia il governo di
Budapest, aprendo all'ipotesi di una procedura d'infrazione
come già avvenuto con un altro provvedimento anti-Lgbt adottato
dall'Ungheria che vieta la 'promozione dell'omosessualità' ai
minori. Bollata come "vergognosa" dalla presidente, Ursula von
der Leyen, la legge è valsa a Budapest un deferimento alla Corte
di Giustizia dell'Ue in una causa in cui sono parte anche 15
Stati membri. Si tratta della più grande procedura sulla
violazione dei diritti umani mai portata davanti al Giudice
europeo.
Ma la cassetta degli attrezzi a disposizione dell'Ue è ampia.
E c'è chi suggerisce, come fatto da Madrid, di aumentare la
pressione su Budapest con "multe economiche" o con il "blocco di
certi fondi" europei. Finora Bruxelles ha disposto il
congelamento di circa di 30 miliardi di euro di finanziamenti
destinati all'Ungheria, inclusi i fondi del Pnrr che verranno a
scadenza il prossimo anno. Di questi, meno di 20 restano nelle
mani dell'Ue, mentre un miliardo è andato definitivamente perso
nel dicembre 2024.
Finora però le azioni intraprese da Bruxelles non hanno
sortito l'effetto sperato. Al contrario, Orbán ha inasprito il
confronto non solo all'interno, ma anche sui tanti dossier su
cui è chiamata a deliberare l'Ue, primo tra tutti il sostegno
all'Ucraina e il suo percorso di adesione. Anche per questo
motivo sta aumentando la pressione perché gli Stati membri
avanzino nella procedura dell'articolo 7 del Trattato Ue,
attivata nel 2018 dal Parlamento europeo e da allora rimasta in
stallo.
Tra le sanzioni previste, anche la sospensione del diritto di
voto in seno al Consiglio nel caso di una violazione grave dei
valori fondamentali. "È tempo che gli altri governi dell'Ue
procedano con la procedura dell'articolo 7", è stato il monito
di Tineke Strik, capo delegazione della missione della
commissione Libertà civili dell'Eurocamera in corso in questi
giorni in Ungheria. "In questo periodo di profondi
sconvolgimenti globali, l'Europa - ha avvertito - non può
permettersi di indugiare mentre l'Ungheria si trasforma in una
dittatura a tutti gli effetti".
Riproduzione riservata © Copyright ANSA