La Serbia ricorda oggi le
vittime, le distruzioni e il terrore di quella che viene
definita da Belgrado la "brutale aggressione" della Nato di 26
anni fa, con la campagna di bombardamenti che nella primavera
1999 pose fine alla guerra del Kosovo, l'ultimo dei conflitti
armati che negli anni Novanta sconvolsero i Balcani con la
drammatica disgregazione della Federazione socialista jugoslava.
Raduni e cerimonie commemorative sono in programma in giornata
in vari luoghi, in particolare a Belgrado dove nel centro della
città ci sono ancora i resti degli edifici che ospitavano le
sedi del ministero della Difesa e dello Stato maggiore
jugoslavi, distrutti nei bombardamenti. Un progetto prevede al
loro posto la realizzazione da parte di una compagnia americana
di un complesso comprendente un lussuoso hotel e un residence
esclusivo. Un piano questo contestato da molti che
preferirebbero mantenere tali edifici in rovina come simbolo e
testimonianza evidente dell'aggressione della Nato. Secondo i
dati del ministero della Difesa serbo, nei 78 giorni di
martellanti bombardamenti rimasero uccisi 1.031 fra militari e
agenti della polizia locale, e circa 2.500 civili, compresi 89
bambini. I feriti furono circa 6mila civili, fra i quali 2.700
bambini, e oltre 5mila fra militari e agenti di polizia, mentre
altre 25 persone sono ancora considerate disperse. Enormi i
danni materiali valutati da varie fonti in decine di miliardi di
dollari. I raid della Nato, decisi senza alcun mandato del
consiglio di sicurezza Onu, scattarono su ordine dell'allora
segretario generale dell'Alleanza Atlantica Javier Solana la
sera del 24 marzo 1999 con il decollo dei primi
cacciabombardieri dalla base di Aviano, nel nordest dell'Italia,
e si conclusero il 9 giugno.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA