Se i Comuni sardi volessero
realizzare impianti di produzione di energia da fonti
rinnovabili in aree definite non idonee, anche con l'obiettivo
di contenere i costi energetici, potranno farlo nel rispetto
delle peculiarità storico-culturali, paesaggistico-ambientali e
delle produzioni agricole. Lo prevede l'articolo 3 del disegno
di legge sulle aree idonee il cui esame è in dirittura d'arrivo
nell'Aula del Consiglio regionale.
E cambiano, rispetto al testo originario proposto dalla
giunta, i paletti che definiscono questa possibilità, nel timore
che possano "rientrare dalla finestra" progetti meramente
speculatori. Timori sollevati dalla minoranza sin dalla prima
presentazione del testo e oggetto dell'intesa tra gli
schieramenti. Nel testo si prevede che "i Comuni hanno facoltà
di proporre un'istanza alla Regione, propedeutica alla
realizzazione di un impianto o di un accumulo Fer all'interno di
un'area individuata come non idonea ai sensi della presente
legge". Ma per farlo già nel testo originario era previsto
l'obbligo che la delibera del consiglio comunale sia preceduta
dallo strumento partecipativo del "dibattito pubblico".
Con un correttivo proposto dall'opposizione, primo firmatario
il capogruppo di FdI Paolo Truzzu, e approvato, la procedura di
coinvolgimento è rinforzata. Il nuovo testo prevede, infatti,
"che la delibera del consiglio comunale vada adottata a
maggioranza qualificata, e che il processo partecipativo
coinvolga anche gli altri comuni 'contermini' interessati
eventualmente dal progetto", ha precisato Truzzu in Aula.
L'articolo 3 prevede anche le misure di garanzia di
esecuzione e bonifica dei siti degli impianti, una sorta di
assicurazione per i territori, che deve essere in misura pari al
valore complessivo dell'opera e degli interventi di dismissione
dell'impianto di produzione e delle opere di ripristino dei
luoghi sulla base della destinazione urbanistica.
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