Il 5 febbraio del 1995, dopo una telefonata anonima alla polizia, un corpo senza vita viene ritrovato all'interno del canyon artificiale di Tuvixeddu a Cagliari, la più grande necropoli punica del Mediterraneo. E' quello di Manuela Murgia, 16 anni, scomparsa il giorno prima, quando era uscita di casa per incontrare qualcuno. Indossava sotto i jeans i pantaloni del pigiama e sul tavolo della cucina aveva lasciato un rossetto e un profumo. Un testimone la vede salire su un'auto e allontanarsi da casa. E' l'ultima volta che Manuela sarà vista viva.
A distanza di 30 anni quella morte è ancora avvolta nel mistero, un cold case che le sorelle Anna ed Elisabetta e il fratello Gioele, come anche tutta la famiglia, da anni tentano di far riaprire. Allora il decesso era stato archiviato come suicidio ma i familiari non hanno mai creduto a quella tesi e si sono sempre battuti per ulteriori indagini.
Nel 2024 la famiglia aveva presentato un'istanza per la riapertura del caso, ma la Procura di Cagliari aveva respinto la richiesta. Ora gli avvocati Giulia Lai e Bachisio Mele hanno presentato una nuova istanza allegando la consulenza del medico legale Roberto Demontis. E proprio in queste pagine viene ipotizzato che non si tratterebbe di suicidio o di una caduta "ma che le lesioni sarebbero compatibili con un incidente stradale e che, probabilmente, prima dell'incidente ci sarebbe stata una violenza sessuale e poi un occultamento di cadavere", spiega l'avvocata Lai.
Si suppone, quindi, che il corpo sia stato trascinato nel canyon dove venne ritrovato. "Ufficialmente non ci è arrivata nessuna comunicazione da parte della Procura, ma anche durante la trasmissione Detectives di Rai2 l'ex capo della Mobile di Cagliari Emanuele Fattori ha confermato la riapertura del caso", aggiunge la legale.
Sempre durante la trasmissione è stato ricordato che nei giorni precedenti la morte della ragazza, i familiari avevano scoperto che Manuela nascondeva dei soldi e che riceveva strane telefonate che gettavano la ragazzina in una situazione di sconforto, con pianti ininterrotti. Un ricordo riemerso già nel 2012 quando la sorella Elisabetta si recò in Procura per raccontare l'episodio.
Le somme di denaro, in una quantità non normale per Manuela e per la sua famiglia, erano state trovate nascoste nella plafoniera del bagno. Era stato proprio quel particolare a far riaprire il caso allora, ma poi non vennero trovati ulteriori riscontri sulle incongruenze segnalate dalla famiglia.
Adesso si spera in una svolta: "Siamo assolutamente fiduciosi sulla riapertura del caso di Manuela e, in qualità di legali della famiglia, crediamo fortemente nella Procura e nell'impegno che sta mettendo nelle indagini", conclude l'avvocata Lai.
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