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Il delitto Mollicone, la Cassazione dispone l'Appello bis

Il delitto Mollicone, la Cassazione dispone l'Appello bis

Nuovo processo per Franco Mottola, la moglie Anna e il figlio Marco

ROMA, 12 marzo 2025, 12:46

di Marco Maffettone

ANSACheck
- RIPRODUZIONE RISERVATA

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Non si chiude, dopo 24 anni, la vicenda giudiziaria legata alla morte di Serena Mollicone, trovata priva di vita in un boschetto di Arce.

I giudici della Cassazione hanno disposto un nuovo processo di appello, davanti ai giudici della Corte d'Assise d'appello di Roma, accogliendo l'istanza della Procura generale contro l'assoluzione dell'ex comandante della caserma dei carabinieri del paese in provincia di Frosinone, Franco Mottola, della moglie Anna Maria e del figlio Marco, accusati dell'omicidio della ragazza avvenuto il primo giugno del 2001.

I giudici della prima sezione hanno, quindi, recepito la richiesta del pg che nel corso della sua requisitoria ha sostanzialmente demolito la sentenza emessa dai giudici di secondo grado della Capitale che nel luglio del 2024 hanno fatto cadere, così come nel primo grado a Cassino, le accuse per tutti gli imputati.

La decisione della Suprema corte è stata accolta da un breve applauso mentre fuori dal Palazzaccio uno striscione ricordava che "Serena vive". Visibilmente commossa Consuelo, la sorella di Serena, sempre presente in tutte le udienze dei processi. "Il mio pensiero - ha commentato - va a mia sorella, che non rivedrò più nella mia vita così come mio padre. Noi confidiamo nella giustizia che attendiamo da 24 anni. Da oggi abbiamo speranza".

Dal canto loro Franco e Marco Mottola hanno lasciato il Palazzaccio senza parlare. "Sto bene", ha tagliato corto l'ex comandante della stazione mentre i difensori si sono limitati a dire che "attenderanno di leggere le motivazione per poi fare le valutazioni del caso".

Nel corso della requisitoria il rappresentante dell'accusa, riferendosi alla sentenza di appello, l'ha definita "viziata da plurime violazioni di leggi" con una "pluralità di indizi non valutati in maniera unitaria". Una pronuncia "totalmente carente" che nel ricostruire quanto avvenuto oltre venti anni fa lo ha fatto con "atteggiamento pilatesco", omettendo "di motivare sulla presenza di Mollicone quella mattina nella caserma di Arce".

La sentenza di secondo grado, in cinquanta pagine, aveva ribadito l'inesistenza di elementi a carico della famiglia Mottola, accusata di avere ucciso la liceale di 18 anni scomparsa da Arce il primo giugno e trovata morta tre giorni più tardi nel bosco Fonte Cupa della vicina Monte San Giovanni Campano. L'assoluzione bis ha ricalcato le stesse ragioni che avevano condotto alla sentenza di primo grado. Vale a dire la mancanza di prove. Non c'è la prova che Serena, il giorno del delitto, sia entrata nella caserma dei carabinieri e li sia stata ammazzata al culmine di una lite con Marco Mottola.

La svolta che aveva portato ai due processi per i Mottola stava nelle dichiarazioni rese nell'inchiesta bis dal brigadiere Santino Tuzi, poi morto suicida. Ma la Corte d'Appello di Rona, esattamente come la Corte d'Assise di Cassino, afferma che le sue dichiarazioni sono confuse, generiche, ritrattate, rese sotto pressione "non dandogli la possibilità di dare una versione alternativa dei fatti nonostante Tuzi tentasse di farlo (...). Due volte fornisce una tesi che finisce per accrescere i dubbi sulla credibilità della persona".

Nel corso del processo di appello è stato ascoltato un amico del brigadiere Tuzi. Davanti ai giudici di secondo grado ha affermato di essere convinto che non si fosse suicidato "ma che gli avessero tappato la bocca". Sul punto i giudici scrivono che "appare veramente strano che un teste indignato e furibondo non si sia precipitato dagli inquirenti a fornire un elemento così importante ed abbia tenuto il segreto per 15 anni. Il timore di ritorsioni sulla figlia, in assenza di minacce esplicite è un'ipotesi umanamente comprensibile ma è stata una scelta in grado di incrinare l'efficacia probatoria del testimone".

Secondo l'accusa Marco voleva evitare che Serena lo denunciasse perché spacciava droga. Da qui l'aggressione e il violento colpo contro una porta della caserma. La Corte ha ritenuto "evanescente" il movente a fronte "di un compedio probatorio insufficiente e contradditorio". La Corte ha citato Pasolini: "Qui, nelle Aule di giustizia, non può albergare la polemica frase (scritta, peraltro, cinquant'anni fa, in un articolo di analisi storico-politica, non giudiziaria) di un noto intellettuale. Diceva io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi".
Una ricostruzione non sufficiente, però, a scrivere la parola fine sul giallo di Serena. La parola ora torna ai giudici di appello. 
   

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