Alla proiezione di Oppenheimer si balla sulla sedia per la potenza del rumore. È un dato di fatto, proprio come se ci si trovasse dentro un combattimento di Avengers. Eppure sullo schermo c'è quasi sempre, in campo stretto, il volto malinconico e amletico di Cillian Murphy: è lui infatti il padre della bomba atomica nell'atteso film di Christopher Nolan in sala dal 23 agosto distribuito da Universal Pictures. E che dentro questo lavoro girato in 70 millimetri Imax ci sia un po' di Shakespeare, Malick, Hitchcock e, soprattutto, tanta natura nel suo stato molecolare, rumoroso è quello che impari subito nelle tre ore del film. Ora quel rumore che Nolan ci propone più volte, per accompagnare le sperimentazioni del progetto Manhattan, è sempre e solo la voce della natura che cerca di liberarsi da ogni controllo, quella voce che la fissione nucleare amplifica e con la quale si sono misurate le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki.
E così ci sta tutto che questo film sia ispirato da American Prometheus di Kai Bird e Martin J. Sherwin, biopic che paragona Oppenheimer al titano che rubò il fuoco per gli uomini, non senza conseguenze, perché in realtà quello che fu compiuto nella città supersegreta di Los Alamos nel deserto negli anni Quaranta è stato uno schiaffo degli uomini alla natura, uno schiaffo che la natura non ci ha mai davvero perdonato. "Non è una nuova arma, è un nuovo mondo" così a un certo punto dice un consapevole Oppenheimer volendo intendere che dopo la bomba atomica non si torna più indietro. Perché se il nucleare rende impossibile la guerra che porterebbe all'estinzione dell'umanità, allo stesso tempo rende il mondo un posto altamente insicuro perché lo fa viaggiare su un camion pieno di tritolo. Fin qui il rumore, ovvero la colonna sonora di questo film (scritta da Ludwig Göransson), poi c'è il singolo, ovvero Robert Oppenheimer/Murphy, esaltato dall'Imax, su cui questa storia titanica pesa anche troppo.
E così il viso dell'attore irlandese, pieno di smorfie, movimenti e impercettibili rughe cerca di raccontare quello che non si può raccontare. Ovvero, cosa mai prova uno scienziato alle prese con una scoperta così rivoluzionaria? Dove finisce mai la sua morale in questa sfida piena del sangue, a venire, delle vittime di Hiroshima e Nagasaki? Qui Nolan, regista del tempo, mette in campo tutta la sua capacità di creare scompiglio come aveva fatto in Inception e Tenet con un espediente geniale: un effluvio di parole, quelle degli accusatori nel processo della commissione d'inchiesta cui fu sottoposto negli anni del maccartismo per le sue idee comuniste, contro una reticenza a parlare sempre da parte dello scienziato. In Oppenheimer, passa l'idea che nessuno sa davvero cosa ci sia nella testa di questo fisico. Diviso tra bianco e nero e colore, nel primo caso di scena l'impresa di Los Alamos, ovvero la storia secondo la prospettiva di Oppenheimer, e, nel secondo, quella a lui contraria come l'interminabile commissione d'inchiesta con il ruolo centrale di Lewis Strauss (Robert Downey Jr.), presidente della Commissione per l'energia atomica. Potentissima, infine, la figura del generale Leslie Groves, interpretata da un Matt Damon perfetto per incarnare un uomo di buon senso, un militare, giustamente sospettoso di un uomo come Oppenheimer dai confini incerti.
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