Il Los Angeles Times dedica la
sua apertura allo strano caso degli ambasciatori di Donald Trump
a Hollywood: nominati e mai pervenuti. Si tratta delle star Mel
Gibson, Jon Voight e Sylvester Stallone, tutti di provata
fedeltà al tycoon, che il presidente ha scelto a gennaio come
inviati nella mecca dell'intrattenimento. "Make Hollywood great
again", era la missione, lanciata in un momento in cui le
produzioni locali di film, serie e programmi tv non fanno che
scendere (-22% nel primo trimestre del 2025 rispetto all'anno
scorso), causando disoccupazione e angoscia tra le centinaia di
migliaia di addetti.
"Saranno i miei occhi e orecchie, e farò quello che mi
suggeriranno", aveva annunciato il presidente su Truth,
affermando che avrebbe riportato "a casa" le produzioni che
"negli ultimi quattro anni hanno scelto sempre più spesso paesi
stranieri". Peccato che, quattro mesi dopo, molti di coloro che
lavorano per rilanciare la produzione nel settore confidano al
Times che, dal fronte degli inviati speciali di Trump, è
"silenzio assoluto".
"Abbiamo contattato tutti e tre e non abbiamo mai ricevuto
risposta", ha dichiarato Pamala Buzick Kim, co-fondatrice di
Stay in LA, una campagna che ha raccolto più di 100.000 firme
per chiedere al governo della California misure per rendere
conveniente girare a Los Angeles. Il quotidiano ha consultato
deputati, funzionari del comune e dello stato, dirigenti degli
Studios e rappresentanti dei lavoratori. Nessuno è riuscito a
intavolare un dialogo con le tre star investite dal presidente.
"Trump dice di voler difendere l'industria manifatturiera e le
imprese americane con i dazi. Ma cosa sta facendo per noi? Cosa
sta facendo per garantire che i nostri posti di lavoro siano
protetti qui negli Stati Uniti?", si chiede l'attrice Rachel
Cannon.
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