"Il simbolo della libertà in una
società è sempre la letteratura. Quando c'è libertà la
letteratura fiorisce e quando viene meno soffre moltissimo",
diceva Mario Vargas Llosa in un'intervista all'ANSA nel dicembre
del 2021. Poi nel 2023 in un post-scriptum al suo libro Le
dedico il mio silenzio, lo scrittore peruviano, che dagli anni
Novanta viveva a Madrid aveva scritto che "finito questo libro"
si sarebbe dedicato a un saggio su Jean Paul Sartre che è stato
suo maestro da giovane: "quello sarà l'ultima cosa che scrivo".
E così è stato perché lo scrittore, premio Nobel per la
letteratura nel 2010 è morto ieri a Lima. A renderlo noto il
figlio Álvaro sul suo account ufficiale di X. "Con profondo
dolore, rendiamo pubblico che nostro padre, Mario Vargas Llosa,
è morto oggi a Lima, circondato dalla sua famiglia e in pace",
ha scritto.
Primo peruviano a vincere il Nobel per la Letteratura, Mario
Vargas Llosa ha sempre creduto nella letteratura come impegno
civile e visto nei demoni della scrittura una forza capace di
trasformare la visione della realtà.
Protagonista della rinascita della letteratura sudamericana
con il colombiano Gabriel Garcia Marquez, vincitore del premio
Nobel nel 1982, insieme al quale è stato protagonista di una
celebre polemica su Fidel Castro, Mario Vargas Llosa, ha
ottenuto subito un grande successo nel 1963 con 'La città e i
cani', considerato il suo capolavoro. ''Una persona in ottimo
accordo col mondo o con la vita non cercherà mai di creare
realtà virtuali, verbali. Ogni romanzo,
credo, è un assassinio formale della realtà'', diceva,
esplicitando a sei anni dall'uscita del libro che gli dette
notorietà internazionale la propria
poetica che indaga tra le pieghe del reale per scompaginarle,
per farne emergere contraddizioni e falsità. Il libro -
pubblicato in Italia da Feltrinelli nel 1967 e ambientato
nell'accademia militare di Lima, frequentata dallo scrittore, di
cui ha immortalato la ferrea disciplina - venne bruciato in Perù
perché considerato dissacrante. L'esordio come scrittore - che
nel 1993 ha preso la nazionalità spagnola ma ha vissuto per anni
a Londra - è però alla fine degli anni Cinquanta con il libro di
racconti I capi (1959).
Giornalista, oltre che scrittore sempre impegnato, vincitore
di numerosi premi letterari fra cui il Planeta, il Cervantes, il
Principe de Asturias e in Italia il Grinzane Cavour nel 2004 e
il Viareggio Versilia nel 2010, alla fine degli anni Ottanta,
Mario Vargas Llosa è entrato in politica e nel 1990 si è
candidato alle elezioni presidenziali in Perù, ma è stato
sconfitto da Alberto Fujimori. Anche in politica ha sempre avuto
una posizione fuori dagli schemi. ''In questa società ci sono
certe regole, certi pregiudizi e tutto quello che non vi si
adatta sembra anormale, un delitto o una malattia'' dice uno dei
suoi aforismi.
E' stato vicino a Fidel Castro negli anni '50 per poi prendere
le distanze dal leader cubano con dure critiche. Le opinioni su
Castro furono anche motivo di grande polemica con Garcia Marquez
sul quale Llosa nel 1971 aveva scritto una tesi di dottorato ma
dal quale lo ha sempre distanziato la posizione dichiaratamente
di sinistra dell'autore di Cent'anni di solitudine.
Originario di Arequipa, in Perù, dove è nato nel 1936, ha
trascorso i primi dieci anni a Cochabamba, in Bolivia, e ha
sempre vissuto tra l'America Latina e l'Europa: a Parigi - dove
ha frequentato Sartre di cui è diventato amico e su cui è
tornato nel saggio Tra Sartre e Camus pubblicato da Scheiwiller
- a Barcellona, Madrid, Londra, e anche in Italia.
La sua prima e vera vocazione resta la letteratura: ''Non
importa quanto sia effimero, un romanzo è qualcosa, mentre la
disperazione non è nulla'' come ha più volte ripetuto. In Italia
la sua opera è pubblicata da Einaudi, subito dopo il Nobel nel
2011 uscì 'Il sogno del Celta', ispirato alla figura del
diplomatico britannico e indipendentista irlandese Roger
Casement, grande amico di Joseph Conrad, primo a denunciare gli
orrori del colonialismo belga in Congo di cui fu console
all'inizio del XX secolo, all'epoca del boom del caucciù, poi
l'ultimo nel 2024 appunto Le dedico il mio silenzio. Ma molti
sono i suoi romanzi, in cui ha spesso denunciato le dittature, i
soprusi, il colonialismo: La Casa Verde, La zia Julia e lo
scribacchino, La guerra della fine del mondo, I quaderni di don
Rigoberto, La città e i cani, Lettera a un aspirante romanziere,
Conversazione nella Catedral, Elogio della matrigna, La festa
del Caprone, Pantaleón e le visitatrici, Storia di Mayta, Il
Paradiso è altrove, I cuccioli. I capi, Chi ha ucciso Palomino
Molero?, Avventure della ragazza cattiva, Appuntamento a Londra,
Il caporale Lituma sulle Ande, Il narratore ambulante, Elogio
della lettura e della finzione, La Chunga e Il sogno del celta.
''La finzione è sempre una denuncia, è la prova di una
rivolta, perché il romanziere è un ribelle, un
uomo indignato per un aspetto o l'altro della realtà'' scriveva
nel 1969 lo scrittore.
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