'Prima di arrivare alla creazione 'ammazzi' sempre un po' di idee. Qui invece è stata una folgorazione. Ero in una situazione confusa, in ritardo nella consegna del progetto. Poi ho visto il quadro di François Gerard, L'incoronazione di Carlo X, e mi sono detto: si, perché non potrebbero essere loro i protagonisti di Rossini?''. Così ''Il Viaggio a Reims'' arriva per la prima volta a Roma e al Teatro dell'Opera, nella versione 'fantastica' e visionaria, che Damiano Michieletto, ormai una star all'estero e sempre più conteso tra prosa e lirica, ha creato lo scorso anno per il De Nationale Opera di Amsterdam. Uno spartito molto poco rappresentato, pur con virtuosismi da concertato a 12 voci, proprio perché ''non una vera Opera, ma piuttosto una cantata'', sottolinea il sovrintendente Carlo Fuortes.
Al Costanzi dal 14 al 24 giugno (il 22 anche su Rai Radio3 e Rai5), riporterà il regista all'Opera di Roma dopo il Trittico Pucciniano dello scorso anno (''Michieletto aprirà anche la prossima stagione con la sua Damnation di Faust - ricorda Fuortes - e pensiamo già a una produzione per l'anno successivo''). Mentre sul podio e come fortepiano, torna il maestro Stefano Montanari, dopo il Barbiere di Siviglia a Caracalla del 2014. Dramma giocoso in un atto su libretto di Luigi Balocchi, Il viaggio a Reims è l'ultimo lavoro di Rossini in italiano e il primo parigino, scritto nel 1824, tutto sull'incoronazione di Carlo X a re di Francia.
Michieletto ha trasportato gli aristocratici protagonisti, con tanto di equivoci e intrecci amorosi, dalla locanda a un museo, alla vigilia della inaugurazione di una mostra. Nel quadro di Gerard, spiega, ''sono tutti riuniti per andare a Reims. Anche quest'opera, è la storia di una lunga attesa. Tutti - spiega - sono in preda alla frenesia per l'evento, che corrisponde alla partenza per Reims nel libretto''. L'arrivo di una grande tela impacchettata, tra bisticci e curiosità, da l'avvio a un sorprendente gioco scenico, con finale a sorpresa. In tutto, 18 personaggi, ''alcuni reali, come la direttrice del museo o il critico d'arte; altri, appartenenti ai dipinti esposti, storici'', per 23 interpreti, con anche Mariangela Sicilia/Adriana Ferfecka, Anna Goryachova/Cecilia Molinari, Maria Grazia Schiavo/Maria Aleida, Juan Francisco Gatell/Filippo Adami, Merto Sungu/Pietro Adaini. In scena, prosegue il regista, ''c'è il racconto del sentimento, trasfigurato nell'amore per un'opera d'arte. Il corto circuito dell'incontro tra i personaggi storici e i lavori di Picasso o Magritte. Ma soprattutto il rapporto tra verità e finzione, che ci riguarda tutti. Qualcosa che non esiste perché immaginario, nel momento in cui riesci a farlo immaginare a qualcuno diventa emozione. Questa è arte''.
Ma fin dove è lecito spingersi nella creazione per un regista? ''E' importante non nascondersi dietro l'idea di avere uno stile, come fosse una corazza - risponde lui - Nel momento in cui indaghi un'opera devi lasciare che anche lei indaghi te. Il limite è dato dalla musica e della parole, nient'altro. Chi dice il contrario ha paura. Devi solo fare in modo che abbia un senso e che chi va in scena sia valorizzato. Nel rispetto del pubblico, certo, che non vuol dire però accontentarlo ma offrirgli qualcosa che non conosce. E' per questo che si mettono in scena nuove produzioni''.
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