Estate 1967. La ventenne Patricia Lee
Smith lascia il New Jersey rurale per Manhattan, la capitale
dell'auto-reinvenzione. Nella sua valigia, "Les Illuminations"
di Rimbaud e un taccuino. Primo incontro, prima cotta: Robert
Mapplethorpe, non ancora fotografo, ha ambizioni per due. In sua
compagnia, Patti parte alla conquista di una New York dove
incontra Andy Warhol, Janis Joplin o Jimi Hendrix. Nei corridoi
del famoso Chelsea Hotel, in contatto con Allen Ginsberg e
William Burroughs, affila la penna e trova la sua strada. Una
storia che - tra materiali d'archivio e concerti leggendari -
Sophie Peyrard e Anne Cutaia raccontano nel documentario "Patti
Smith Electric Poet", in onda mercoledì 30 aprile alle 23.05 su
Rai 5, per ripercorrere il viaggio di un'amante delle parole che
è diventata un'icona del rock e una dei maggiori artisti del
nostro tempo. Dopo alcune notevoli letture delle sue poesie e un
singolo autoprodotto, i suoi primi concerti al mitico Cbgb
rivelano un vero "animale da palcoscenico". I suoi pezzi
impongono una scrittura e un canto di una novità radicale. La
sua voce, il suo stile, il suo atteggiamento, sono completamente
inediti. Nel 1975 il suo primo album Horses, firmato da Clive
Davis per l'etichetta Arista, ebbe l'effetto di una detonazione.
Il rock si trasforma per sempre. Un punk nel cuore, Patti Smith
non ha ceduto al richiamo della celebrità e in cinquant'anni di
carriera ha creato la propria mitologia senza mai scendere a
compromessi. Un'icona controcorrente: ama la musica, la
fotografia e la letteratura.
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