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Aurelio Picca contro Pinocchio ma non proprio

Aurelio Picca contro Pinocchio ma non proprio

Corpo a corpo con l'opera, preferisce I ragazzi della Via Pal

ROMA, 29 marzo 2022, 12:22

Redazione ANSA

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

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(di Paolo Petroni) AURELIO PICCA, ''CONTRO PINOCCHIO'' (EINAUDI, pp. 144 - 15,00 euro). Ancor prima che uscisse, partendo dal titolo, questo libro è stato preso a pretesto per discutere contro Pinocchio, e qui Picca è quasi solo, o a favore, e allora c'è una bibliografia sterminata, da Croce a Manganelli, da teologi a psicanalisti, a dimostrare che evidentemente il discorso è altro. Picca infatti parla di Pinocchio per parlare di sé e della sua infanzia come la può trasfigurare un vero scrittore, che si sente più vicino ai ''Ragazzi della Via Pal'' di Ferenc Molnar che al nostro burattino. E chi conosca i suoi libri, ultimo e rivelatorio ''Il più grande criminale di Roma è stato amico mio'', capisce e non si stupisce.
    Al di là del titolo a effetto, la sua non va presa come una valutazione critica, ma come una sorta di corpo a corpo con un corpo che risulta sostanzialmente estraneo a lui, cresciuto per certi versi brado, giocando, lavorando, misurandosi con l'aggressività degli altri, e oggi ripensandoci scrive: ''la mia esistenza è stata solo interiore, anche se sono stato sbattuto in mezzo a una strada, con un filo legato a un'innocente e vitalissima infanzia''. E, punto sostanziale, all'Aurelietto di allora, che ha visto i morti distesi sul letto, dal patrigno al nonno, ''a lui non è stata sottratta la morte, come si usa fare adesso''. E anzi, oggi più si cresce, più la si maschera e nasconde. Cosa che qualsiasi lettore di Picca sa che non appartiene allo scrittore (e all'uomo), alla sua fisicità, alla sua scrittura più che corposa, capace di farsi corpo, di costruire la fisicità del narrato per raccontare quel che ciò implica e quanto di umano vi è insito.
    Allora Ernesto Nemecsek coi ragazzi della sua banda in lotta per i propri diritti per le strade di Budapest che finiranno travolti con i loro puri ideali, appare più vicino e forte a Picca, che quel libro lo lesse da ragazzo, mentre Pinocchio lo ha affrontato per la prima volta solo oggi e con occhio sospettoso. Altrimenti forse, quel dibattersi di Pinocchio che ne passa di tutti i colori, difendendosi con le bugie prima di essere costretto a crescere, come accade in tutti i racconti iniziatici, forse lo avrebbe sentito in altro modo. Lo avrebbe vissuto come Cramelo Bene, che del resto cita e che dal 1981 lo portò in scena più volte, vedendolo come la resistenza a crescere, quella di ogni vero artista, onnipotente nella sua impossibilità a diventare adulto e ne parlava, pensando anche a se stesso, come di una ''inumazione prematura di una salma infantile che scalcia nella propria bara''. A lui e a Picca non a caso piaceva più la prima stesura di Pinocchio, quella noir che finisce con la sua morte impiccato, cui Collodi fu costretto poi a dare un seguito per le proteste dei lettori.
    Picca sostiene invece che il più gran dolore per un bambino è il non essere grande. La sua infanzia è così una crescita continua, una lotta della vita contro la coscienza della morte, un combattere sempre, anche se qualche volta inutilmente, se si vuole ''trovare la propria Patria'' come fanno i ragazzi di Molnar.
    Lo scrittore poi non perde mai l'occasione per dire cosa e come dovrebbe funzionare l'educazione e la scuola in particolare, tra teoria e molta pratica, molto lavoro e vita vera. E sono in fondo anche queste le ragioni per cui ama il libro ''Cuore'' con i suoi alti sentimenti all'interno di una società dove la scuola e i maestri sono un valore, con poveri e ricchi, con lavori reali e una famiglia. Ai personaggi e racconti di De Amicis, sempre in relazione con l'esperienza di Aureliuccio, dedica così la seconda parte del libro, intitolata ''La patria giovane''. Il libro gli fu regalato per la sua prima comunione e lo sentì anche letto dalla sua maestra negli anni in cui ''eravamo nell'Eden'', poi si cresce: ''crescere è un perdersi nel mondo ... è bene ferirsi, farsi male'' ovvero ''molto meglio che rimanere un pezzo di legno precipitato dal Paradiso terrestre assieme a Adamo e Eva, però finito all'Inferno''. La terza parte, quella conclusiva intitolata ''La visione'', riguarda quindi i ''Ragazzi della Via Pal'', che vivono per strada, liberi e soli, come non avessero padri e madri, ''pronti a combattere per un sogno'' e che ancora oggi a leggerlo dice che lo ha commosso.
   

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