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“Se non sei pazzo, qui lo diventi”: viaggio all’interno del Cpr di Ponte Galeria a Roma
Un tentativo di suicidio ogni due giorni, un “evento critico” ogni 24 ore. Autolesionismo, consumo di psicofarmaci “a scopo contenitivo”, vulnerabilità sanitaria e mentale. E il caso di una donna con chiari tratti psichiatrici rinchiusa e isolata per 9 mesi, che porta all’Italia l’ennesima condanna da parte della Cedu. Tutto questo nel Centro di permanenza per i rimpatri che si trova nel sud della capitale
È uno dei tanti giovani uomini che si avvicinano. A differenza degli altri non vuole parlare. Non può, forse, visto che non parla italiano. Ha un sorriso dolce, lo sguardo basso, e allunga una lettera. “Help me”, sussurra con un filo di voce. È scritta in arabo. Proviamo a spiegare che non siamo in grado di leggerla. Un altro detenuto ci aiuta e traduce ad A. le nostre parole: faremo in modo di farcela tradurre, se per lui va bene. Annuisce, abbassa ancora di più lo sguardo, il sorriso è sempre dolce. Se ne va, non si farà più vedere per il resto della visita.
“Vi prego sperando di inviare questa lettera al mio bene più prezioso, la mia cara madre”, si legge in quella lettera. “Mia cara mamma, mi sei mancata moltissimo e sai quanto ti amo, ma sai anche, mamma, quanto desideravo vedere il mio caro fratello, ma il mio caro desiderio mi ha ucciso e non posso più sopportare me stesso”.
Siamo nel Cpr di Ponte Galeria, il Centro di permanenza per i rimpatri che si trova a Roma sud vicino alla Fiera di Roma e all'aeroporto di Fiumicino. È tra i più grandi tra gli otto Cpr funzionanti oggi in Italia, e l’unico con una sezione femminile: l'ANSA ha ottenuto dalla prefettura di Roma l’autorizzazione all'ingresso con telecamere: due videomaker e un fotografo. La voce di A., le sue parole, che riusciremo a tradurre solo due giorni dopo, sono una mazzata. Dopo averla letta, inviamo una segnalazione per rischio suicidario a tutte le autorità competenti, prefettura, questura, ufficio immigrazione, ente gestore del Centro per i rimpatri di Ponte Galeria, autorità garanti dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale. E presentiamo un esposto. “Grazie per quello che fa”, dice il carabiniere.
Dopo qualche giorno il ragazzo viene ricoverato al San Camillo e poi dimesso con una diagnosi di disturbo della personalità non meglio specificata. Viene comunque riportato a Ponte Galeria il 5 giugno. Il 15 giugno tenta il suicidio, viene salvato, ma i medici ritengono il tentativo “non credibile”. Ci riprova il giorno dopo. In maniera evidentemente più “credibile”, visto che viene portato al pronto soccorso. A. esce dal Cpr il 19 giugno, 20 giorni e due tentativi di suicidio dopo il suo annuncio di volerla fare finita nella lettera che ci aveva consegnato.
“Ci è voluto del tempo perché entrasse nel senso comune la consapevolezza di cosa sono quelle strutture”. Rachele Scarpa, deputata Pd
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Viene definita “la curda”, potrebbe essere originaria dell’Europa dell’est, di certo la sua nazionalità è sconosciuta alle istituzioni italiane è non è chiaro se Camelia sia il suo vero nome. È stata fermata a Catania, viveva in strada da tempo, per essere portata al Cpr di Ponte Galeria. Se la si chiama “Giovanni”, hanno notato operatori e operatrici, risponde. Non è aggressiva ma avvicinarla è impossibile. Urla frasi indistinte ed è tenuta in una cella isolata della struttura da ottobre dell’anno scorso. Qualche volta si appoggia alle sbarre per farsi accendere una sigaretta.
Il Cpr di Roma è l’unico in Italia ad avere un settore femminile con 5 posti disponibili. La storia di Camelia e l’evidenza dei suoi problemi di salute mentale hanno portato due parlamentari del Partito Democratico, Eleonora Evi e Rachele Scarpa, assieme a un collegio di avvocati e avvocate e consulenti, a fare ricorso alla Corte europea per i diritti umani (Cedu) per ingiusta detenzione e rischi di danni imminenti. Il 3 luglio 2024 la Cedu ha ordinato all’Italia la liberazione della donna senza nome e il suo inserimento in una casa di cura idonea. Al momento in cui scriviamo, la liberazione non è ancora avvenuta per le difficoltà a trovare una struttura adeguata.
In quale paese doveva essere rimpatriata una donna di cui non è nota la nazionalità? Come ha fatto a rimanere in detenzione, di fatto in isolamento, per nove mesi? Come è stata ritenuta idonea alla detenzione, e come quella detenzione è stata convalidata per cinque volte dal tribunale? “A Camelia è stato fatto un certificato di idoneità che escludeva covid e altre malattie infettive”, racconta Gennaro Santoro, uno degli avvocati che ha lavorato al ricorso alla Cedu. “Nessuna valutazione psicologica. Una volta nel Cpr di Roma Camelia è stata visitata per due volte dalla psicologa del centro, a ottobre e a novembre: per lei viene chiesto un approfondimento psichiatrico. Ma poi non accade nulla per mesi. Fino ad aprile, quando fa una nuova visita psicologica e poi a maggio finalmente una valutazione psichiatrica”.
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“La vicenda di Camelia non è isolata”, spiegano promotori e promotrici del ricorso Cedu. “E le criticità per la salute mentale delle persone detenute sono state evidenziate anche per altri Cpr come quelli di Milano e Macomer”.
“C’è un problema di disagio mentale nei posti di privazione della libertà - spiega la Garante di Roma dei diritti delle persone private della libertà personale Valentina Calderone - e statisticamente anche nei Cpr”. Il problema, dice, risiede sia nella mancata formazione di chi deve effettuare le ‘visite di idoneità’ al trattenimento in questi luoghi, con una sostanziale non conoscenza delle strutture per i rimpatri e delle loro dinamiche. Ma anche dal fatto che, con la diminuzione degli sbarchi, ora nei Centri per il rimpatrio finiscono ‘gli indesiderabili’ dai territori e le persone straniere che arrivano qui dal carcere perché nel frattempo hanno visto il proprio permesso di soggiorno scadere. Portate qui direttamente dal penitenziario a fine pena. “Ho fatto 5 anni, ho pagato per quello che ho fatto. Perché sono qui, in questo posto che è peggio del carcere, dopo aver scontato già del tutto la mia pena e chissà per quanto?”, dice B., trentacinquenne tunisino. Nel 2023 le persone passate dal carcere a Ponte Galeria sono state 229, il 20% del totale. Due di queste erano donne.
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Al Cpr di Ponte Galeria, teatro del suicidio di Ousmane Sylla il 4 febbraio scorso, in 4 mesi almeno 10 persone hanno tentato di togliersi la vita.
Con una richiesta di accesso agli atti, l'ANSA ha ottenuto un estratto del "Registro eventi critici", un quaderno compilato dagli operatori del Centro per il rimpatrio gestito dalla multinazionale Ors che riporta non solo tentati suicidi ma anche atti di autolesionismo o accenni di rivolta. Il documento inviato dalla Prefettura è un pdf di 2 pagine che da quel quaderno riporta 21 eventi critici a partire dal 4 febbraio, il giorno della morte di Sylla.
La metà sono tentati suicidi per impiccagione, il resto autolesionismo, minacce di suicidio, "diverbi con operatori" o tra trattenuti. Nella lista degli eventi ci sono in particolare il danneggiamento e la rivolta in seguito al suicidio di Ousmane, 4 episodi di autolesionismo di cui due ingestioni di corpi estranei, due persone che si arrampicano sulle ringhiere e minacciano di impiccarsi, un tentativo di evasione con caduta da un'altezza di 5 metri, una persona ferita apparentemente colpita da un altro trattenuto. E c'è un trattenuto portato in pronto soccorso per trauma facciale dopo quello che lui definisce - secondo quanto riporta il registro - un "diverbio con un operatore". La lista degli eventi ha un ordine cronologico che va dal 125 al 162, ma salta molti numeri: mancano almeno 19 eventi.
Il giorno della morte di Ousmane c'è una rivolta in seguito al ritrovamento del corpo da parte di altri detenuti. Il 16 febbraio un trattenuto, id 17xxx, viene trovato con un telefonino che gli viene sequestrato: lui si taglia sul collo e sulle braccia. Il 18 febbraio un altro detenuto arriva in ambulatorio con ferite al mignolo, zigomo sinistro e nuca. Dice di essere stato aggredito da un altro detenuto, viene medicato e qui finiscono le annotazioni sul caso.
Si susseguono altri tentativi di impiccagione: il 21 febbraio, il 28 febbraio, il 3 marzo, il 4 marzo, il 14 marzo. Ma mancano dei giorni: dall’evento 137 si passa al 140, dall’evento 143 al 145. C’è un altro tentativo di impiccagione, il 16 maggio, a seguito di una convalida di permanenza nel Cpr. Il 20 maggio in due si arrampicano sulle alte recinzioni e minacciano di impiccarsi. Infine il 10 giugno uno dei trattenuti tenta di evadere e si rompe una gamba. Mancano gli eventi dal 153 al 163. Quando l'ANSA è entrata dentro al Cpr di Ponte Galeria con le telecamere, il 29 maggio 2024, c’erano appena stati - secondo il racconto dei trattenuti incontrati - due tentativi di impiccagione e un’ingestione di pile. Dopo il 10 giugno siamo a conoscenza di almeno tre tentati suicidi: due di A. a metà giugno e un tentato suicidio il 4 luglio che ha scatenato una protesta di cui hanno dato conto i media.
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Il 3 luglio 2024 anche Amnesty international denuncia in un report “la privazione illegale di libertà cui sono sottoposti in Italia i migranti, costretti in centri di detenzione al di sotto degli standard internazionali”. Una delegazione dell’ong ha visitato dall'8 al 13 aprile i Centri di permanenza per i rimpatri di Ponte Galeria (Roma) e Pian del Lago (Caltanissetta). "La detenzione dovrebbe essere la misura di ultima istanza”, dice Dinushika Dissanayake, vicedirettrice regionale di Amnesty International per l'Europa. “Tuttavia nei centri che abbiamo visitato abbiamo incontrato persone che non avrebbero mai dovuto essere detenute: con gravi problemi di salute mentale o in cerca di asilo a causa del loro orientamento sessuale o del loro attivismo politico, ma provenienti da Paesi che il governo italiano ha arbitrariamente definito sicuri". Le condizioni dei trattenuti nei Cpr “non vengono considerate in linea con la legge internazionale che impedisce il trattamento crudele, inumano, degradante o punitivo delle persone detenute”.
“Ors Italia è operativa sotto la Prefettura di Roma da due anni, rispettando le normative vigenti in Italia”, replica via mail la multinazionale alle domande di Ansa. “I servizi presso il Cpr, che purtroppo portano a condizioni difficili per i migranti detenuti, sono definiti sia qualitativamente che quantitativamente dal bando emesso dalla prefettura, coerentemente con il quadro giuridico più ampio e i criteri stabiliti dal ministero dell'Interno. È quindi importante comprendere che non possiamo essere ritenuti responsabili per le decisioni prese dalla prefettura o dal governo italiano”.
A lavorare per Ors Italia all’interno del centro per i rimpatri di Roma sono 44 persone. Tra loro un assistente sociale (di cui durante la nostra visita non abbiamo visto traccia), due mediatori culturali, 4 medici e due psicologi. Sono 56 in totale le ore di servizi medici a settimana, 168 quelle di servizi infermieristici, 30 di assistenza psicologica e 36 di mediazione culturale. Per 100 persone circa.
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“Il Cpr di Roma Ponte Galeria, come gli altri Cpr, ha una situazione di totale anarchia dal punto di vista della tutela dell'incolumità delle persone e del diritto alla salute”, spiega all’ANSA Gennaro Santoro, avvocato dell’associazione Antigone. “Questo principalmente perché, in generale, quella dei centri per i rimpatri è una detenzione non regolamentata”. Per il funzionamento dei centri di detenzione amministrativa per migranti, infatti, non ci sono leggi, ma direttive e regolamenti che il ministero dell’Interno emana di volta in volta. “Mentre in carcere funziona il sistema sanitario nazionale, nei Cpr la tutela della salute è affidata a un soggetto privato”, spiega Santoro. “Abbiamo uno schema di capitolato d'appalto e l’ente gestore deve garantire determinati servizi minimi per i quali però non sono previsti degli standard”.
L’unica regola, spiega l’avvocato, è affidata alla cosiddetta “direttiva Lamorgese”, dal nome dell’omonima ex ministra, Luciana Lamorgese, emanata nel 2022, che prevede una visita di idoneità fatta dall’Azienda sanitaria locale per l’ingresso in struttura “ma non è una vera e propria visita di idoneità alla vita ristretta, perché non si fa nessuna valutazione psicologica: si valuta solo che l’assenza di malattie infettive”, continua Santoro. “È per questo che nel Cpr entrano spesso persone con problemi di salute mentale”.
Su La7 telecamere nascoste hanno mostrato uno dei medici di Ponte Galeria affermare che il 90% dei detenuti assume psicofarmaci. Secondo un’indagine di Altreconomia, che ha fornito all'ANSA dati in esclusiva, la spesa in psicofarmaci è in costante crescita dal 2017 al 2022. Si passa da poco più del 5% al 58% del 2022 su una spesa analizzata di sei mesi. Si comprano soprattutto ansiolitici a base di benzodiazepine come Tavor, Tranquirit, Rivotril. Nel 2019, 2020 e 2021 sono stati acquistati tra gli altri 3.480 compresse di Tavor, 270 flaconi di Tranquirit da 20 millilitri e 185 fiale intramuscolo di Valium.
“Molti dei residenti hanno già problemi di dipendenza o una storia medica che richiede un trattamento farmacologico prima di essere ammessi al Cpr”, risponde Ors Italia nella sua mail di replica all’Ansa. Anche se, come ci hanno detto sia gli avvocati e avvocate che Action Aid, la direttiva Lamorgese determinava proprio l’impossibilità di entrare nel Cpr per una persona affetta da problemi psichiatrici o di dipendenze. “Proprio per questi motivi, i medici del centro sono in stretto contatto con la Asl competente e con il servizio psichiatrico”. È sempre la Asl - nel caso di Ponte Galeria, la Asl Roma 3 - che, scrive Ors, determina se un migrante può entrare e risiedere o no nel Cpr. “Di conseguenza, tutti gli individui sono sotto costante osservazione da parte della Asl e ricevono assistenza dal Servizio Dipendenze (SerD) e dal Dipartimento di Salute Mentale”.
L'ANSA ha chiesto, senza ricevere risposta, i dati dal primo gennaio 2023 al 30 maggio 2024 di tutti gli interventi nel Cpr o dal Cper per ragioni di autolesionismo e tantativi di suicidio. L'unica risposta data dalla Asl Roma 3 è che “non risultano interventi sanitari d'urgenza inviati alla psichiatria, che vanno comunque richiesti all'Ente Gestore del Cpr, così come per tutto il resto, deve essere interessato l'Ente Gestore”. Ente gestore che, come visto, rimanda alla Asl. E il giro ricomincia.
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Cemento, sbarre di ferro alte quasi otto metri, un filo con pochi panni stesi ad asciugare al sole. Si vive così nel Cpr di Roma. ANSA / MASSIMO PERCOSSI
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È la legge Turco/Napolitano, la 40 del 1998, a istituire per la prima volta in Italia strutture detentive per recludere i cittadini e le cittadine stranieri sprovvisti di titolo di soggiorno. Quelli che oggi conosciamo come Cpr, Centri di permanenza per i rimpatri - chiamati così dalla legge Minniti-Orlando del 2017 - sono stati prima denominati Centri di permanenza temporanea, poi Cie, Centri di identificazione ed espulsione, infine, appunto Cpr. In 36 anni, nessun governo ha mai abolito il concetto di detenzione amministrativa, quella per cui si viene reclusi senza aver commesso un reato.
Alla fine del 2022 i Cpr attivi in Italia sono 10, per una capienza di 1.395 posti. Al momento ne risultano funzionanti 8, dopo che quello di Milo-Trapani è stato chiuso in seguito a una rivolta, a gennaio 2024, che lo ha reso di fatto inagibile mentre quello di Torino è stato chiuso nel 2023 per ristrutturazione.
Negli anni sono variati anche i limiti massimi della detenzione: dai 30 ai 60 giorni degli albori fino alle ultime disposizioni del governo attuale che prevedono una potenziale detenzione fino a 18 mesi.
A causa delle ripetute proteste e dei continui danneggiamenti subiti dalle strutture, la capacità effettiva del sistema è stata tuttavia sempre ridotta. Ponte Galeria avrebbe una capienza di 125 persone: mentre scriviamo (luglio 2024) i trattenuti sono 79 e 5 le donne. Anche in questo Cpr una sezione è stata disabilitata a causa delle proteste che hanno portato al danneggiamento di alcune aree, il settore V, fatto che porta la capienza effettiva a 104 persone.
La gestione di questi centri è demandata tramite appalti indetti dalle prefetture a soggetti del privato sociale. Il Cpr di Ponte Galeria è gestito da Ors Italia, che appartiene alla multinazionale Ors Group, con sede centrale in Svizzera: si è aggiudicata l’ultima gara d’appalto per oltre 7 milioni di euro pubblicata nel giugno 2021 dalla Prefettura di Roma per gli anni 2021-2023 ed è attualmente in proroga di appalto.
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S. viene dall’India: è stato sei anni in carcere, ha scontato la sua pena ma è ancora in detenzione, da alcune settimane, nel Cpr di Roma. È in Italia da anni, parla benissimo la lingua, ma a questo punto vorrebbe essere rimpatriato. “Mi dicono che non riescono a parlare con l’ambasciata. Ma io dico, fatemici andare con la scorta, vado e ci parlo io”. Rimpatriare le persone nel proprio paese di origine, infatti, non è così semplice. Neppure se lo vogliono. Ci sono alcuni paesi come Tunisia, Egitto, Marocco e Nigeria con i quali esiste un accordo bilaterale di riammissione, altri con cui esistono accordi stipulati dall’Unione Europa (tra i quali Turchia, Pakistan, Albania) o anche meccanismi di riammissione non giuridicamente vincolanti. L’India non è in nessuna lista, ma anche lo fosse la strada è lunga perché il paese deve decidere a sua volta di riammettere un cittadino che magari è passato dal carcere. Un trattenuto marocchino racconta di essere entrato e uscito da 8 Cpr nella sua vita. Vuole essere rimpatriato anche lui, ma è ancora qui a Ponte Galeria.
Nel 2023 sono stati rimpatriati solo il 23% degli stranieri passati dal centro di Ponte Galeria. La percentuale di rimpatri eseguiti dal Cpr di Nuoro è del 17%, del 39% dalla struttura di Macomer, in Sardegna. “La politica dei Cpr è chiaramente inefficace”, spiega Fabrizio Coresi, expert migration di ActionAid Italia. “Il tasso di rimpatrio di tutto il sistema non va oltre il 49% e rappresenta il 15% di tutte le persone che ricevono il foglio di via”. Il dato dei rimpatri eseguiti dal Cpr di Trapani, ora chiuso, per il 2023 è del 70%, “significativamente più alto della media nazionale”, scrive ActionAid nel suo monitoraggio. “Al contrario, la percentuale di uscite decorrenza termini (2%) è molto al di sotto della media nazionale del periodo”.
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"Non possiamo essere ritenuti responsabili per le decisioni prese dalla Prefettura o dal governo italiano"
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