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Il laboratorio della Cineteca di Bologna
Il laboratorio della Cineteca di Bologna
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La corsa di Anna Magnani in Roma città aperta era un po' sbiadita. Lo sguardo di Clint Eastwood nel duello finale di Per un pugno di dollari aveva perso un po' di intensità. Le prime comiche di Charlie Chaplin rovinate e traballanti. Ma c'è un luogo, a Bologna dove i capolavori del cinema tornano alla loro meraviglia. Il cinema è un'arte strana, questo si è sempre saputo. Per far sognare, per far riflettere, per far emozionare ha bisogno di tecnologia che, in oltre un secolo di storia, si è rivoluzionata un paio di volte. Ma proprio come le altre opere d'arte, anche il cinema è deperibile e, a volte, per continuare a far riflettere, emozionare e sognare ha bisogno di un restauro. Ed è quello che fa il laboratorio 'L'immagine ritrovata' della Cineteca di Bologna.
Ogni anno passano dalle mani di un team giovanissimo oltre sessanta film che vengono accolti, accuditi e amati, coccolati, curati e corretti finché non tornano belli come se il tempo non avesse deteriorato le pellicole sui quali sono impressi. L'immagine ritrovata è una bottega che come materia prima ha i sogni: circa 70 di persone, con una media d'età di una trentina d'anni, lavorano con forbici e software sofisticati, taglierini e server potenti, cotton fioc e stanze piene di computer. Il laboratorio bolognese, nato ad inizio degli anni novanta attorno all'esperienza della Cineteca, oggi è un riferimento mondiale, di fatto l'unico laboratorio al mondo specializzato nel restauro, tanto che le major di Hollywood negli ultimi anni sono diventate clienti fisse.
Questo perché accanto alla tecnologia più aggiornata e alla cura per le pellicole, qua la differenza la fa la passione. Quasi tutti i componenti della banda del laboratorio sono infatti laureati in storia del cinema. Poi hanno imparato ad usare una tecnologia e l'hanno messa al servizio della loro passione, con la dedizione dell'artigiano ed il rigore del filologo. Prima di mettersi ad approfondire la chimica che serve per non far morire le pellicole, prima di mettersi a studiare gli algoritmi informatici che servono a correggere le imperfezioni delle pellicole, prima di studiare come funzionano i programmi di editing, si sono sparati migliaia di film. Ed hanno imparato l'arte del restauro dai 'vecchi' del laboratorio, tutti under 40.
Le pellicole arrivano (a volte il negativo, a volte le copie positive che sono già state proiettate centinaia di volte nelle sale) e vengono accolte nella sala della riparazione. Gli addetti si mettono lì, con pazienza benedettina, e aggiustano ciò che c'è da aggiustare. Un lavoro tutto manuale, come se si trattasse di una statua o di un dipinto. Alcune pellicole sono messe talmente male che servono mesi prima di renderle utilizzabili. Ma (quasi) niente è impossibile. Una volta riparata, la pellicola passa in una speciale lavatrice che toglie la polvere e lo sporco, poi viene acquisita digitalmente con uno scanner che la fa diventare un pesantissimo file sul quale avviene il lavoro di restauro vero e proprio. Una quarantina di persone che lavora su due turni, dalle 9 di mattina all'una di notte, si studia con attenzione ogni fotogramma digitalizzato, toglie macchie, elimina tremolii, aggiusta i colori. Nel frattempo, però, è necessario mettersi a studiare il film. Per le pellicole di inizio novecento a volte è un'impresa parecchio complicata: magari perché ci sono più copie diverse di uno stesso film, magari perché mancano dei pezzi o perché sono da ricostruire intere parti di montaggio. L'imperativo è quello di essere fedeli al regista. Ma per riuscirci bisogna conoscerlo, bisogna sapere quello che amava, quello che pensava, quello che avrebbe voluto fare e quello che avrebbe fatto. Ed avanzare un'ipotesi, sperando di non averlo tradito. A questo punto si aggiusta il suono, si sincronizza l'audio e si lavora sulla fotografia, un altro lavoro che va svolto in punta di piedi per fare restauri che siano fedeli all'epoca. Sbagliare qualcosa in questa fase produrrebbe l'effetto di una mano d'intonaco su una chiesa gotica. Laddove possibile si cercando di coinvolgere i direttori della fotografia o gli operatori di macchina che hanno partecipato al film. Alla fine si riguarda tutto con l'occhio allenato che può avere solo chi ha dedicato alcuni mesi della propria vita a quel film e se il risultato è soddisfacente si stampa.
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Bologna non è diventata capitale mondiale del restauro cinematografico per caso. E' nato all'inizio degli anni novanta attorno ad un realtà che si stava già affermando come punto di riferimento per gli appassionati, come la Cineteca di Bologna che ogni anno organizza (e continua ad organizzare) il festival 'Il Cinema ritrovato'. "In questo festival - racconta Gianluca Farinelli, che oggi dirige la Cienetca - ci accorgemmo, negli anni '80, che riuscivamo a presentare restauri delle grandi cineteche europee, ma restauri italiani non c'erano. Ed è per quello che arrivò l'idea: fare una scuola di restauro, trovammo supporto dell'Unione Europea, del Comune e della Provincia e mettemmo le basi per il laboratorio di restauro. Poco a poco è nata questa esperienza, che poi è cresciuta e si è sviluppata, anche con un impegno tecnologico estremamente complesso". La differenza, per diventare numero uno, l'hanno fatta la specializzazione estrema e l'approccio culturale.
"Oggi - racconta Davide Pozzi, giovane direttore del laboratorio l'Immagine ritrovata - i nostri clienti sono per il 50% europei e per il 25% rispettivamente americani e asiatici. Sono cineteche, archivi, ma anche collezioni private di detentori di diritti come quelle della Rai, di Canal Plus, di Pathé". Dalle grinfie degli artigiani hi tech di Bologna sono passati i primi film dei fratelli Lumière, le prime comiche di Charlie Chaplin, capolavori più recenti come 'Roma città aperta', i film di Sergio Leone, 'Hiroshima mon Amour', i 'Quattrocento colpi', appena tornato nelle sale tirato a lucido. I lavori non si fermano e quelli in corso sono top secret: fra i prossimi lavori che saranno presentati, un'attenzione particolare sarà dedicata ad Orson Wells. Bologna vuole bene al cinema e alla sua Cineteca, ma la Cineteca ricambia questo amore ed ogni anno fa alla città un regalo magnifico: da giugno ad agosto piazza Maggiore si trasforma nella sala cinematografica più grande del mondo dove vengono proiettati, gratuitamente, pellicole vecchie e nuove. Ed è forse l'unico luogo del mondo dove film di cento anni fa, spesso conosciuti solo dagli specialisti, tengono ogni sera a bocca aperta oltre mille persone che insieme ridono, piangono e trattengono il fiato grazie al cinema.
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Le testimonianze di Stefania, juventina, Wanda laziale, Chiara e Anastacia romaniste, di una scrittrice e una giornalista, Marta Elena Casanova e Rosita Mercatante, che seguono l'universo femminile sugli spalti, il parere critico di Luisa Rizzitelli, presidente di Assist, l'Associazione nazionale atlete, e quello vissuto di Beppe Franzo, storico ultrà della Juventus, il club che vanta il maggior numero di tifosi in Italia e autore a sua volta di testi sulla storia del tifo. Infine, la storia di Nadia Pizzuti, la prima donna a entrare (da cronista dell'ANSA) in uno stadio di calcio in Iran, a Teheran. Era il 22 novembre del 1997
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