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Israele nel caos, l'opposizione abbandona la Knesset

Israele nel caos, l'opposizione abbandona la Knesset

Hamas minaccia: 'Ostaggi nelle bare'. Bibi: 'Prendiamo territori'

TEL AVIV, 26 marzo 2025, 21:22

di Silvana Logozzo

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© ANSA/EPA

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La tensione tra il governo israeliano, le opposizioni e la piazza ha raggiunto livelli di guardia mai visti prima nel Paese. Nel mezzo di violente minacce a distanza tra Hamas e Benyamin Netanyahu e rare proteste a Gaza per chiedere la fine della guerra per il secondo giorno consecutivo urlando al gruppo islamista di andarsene.

 In serata poi il gesto scioccante delle opposizioni, che hanno allestito simbolicamente i loro uffici sotto alcune tende lungo la strada che porta alla Knesset, proprio mentre era in discussione il controverso disegno di legge che aumenterebbe il controllo politico sulle nomine dei giudici. "Ho aperto il mio ufficio fuori dal Parlamento con colleghi e parlamentari per stare spalla a spalla con i manifestanti e trasmettere un messaggio chiaro, poiché la casa del popolo (la Knesset) non rappresenta più il popolo", ha sintetizzato su X il democratico Gilad Kariv. In un ultimo disperato tentativo di convincere il ministro della Giustizia Yariv Levin ad abbandonare il provvedimento sui magistrati, il presidente del partito Unità nazionale Benny Gantz lo ha avvertito che il "Paese è sull'orlo di una guerra civile". 

Ma Levin ha mantenuto la sua posizione e l'opposizione è intenzionata a boicottare il voto finale. Fuori dalla Knesset anche una finta ambasciata del Qatar improvvisata dagli attivisti anti-Bibi, per evocare l'indagine sugli stretti collaboratori del premier che avrebbero preso soldi da Doha. Ora, a una settimana dal licenziamento del direttore dello Shin Bet, quattro giorni dopo l'inizio della procedura di estromissione del procuratore generale, con un bilancio approvato senza aumentare la spesa per il welfare ma prevedendo finanziamenti miliardari per le scuole ortodosse, la legge sui giudici sembra la goccia che potrebbe far traboccare il vaso.

Mercoledì sera una folla di diecimila persone si è riversata in strada vicino alla Knesset. Dopo le dimostrazioni del mattino che hanno bloccato l'autostrada verso Gerusalemme e quella di accademici e studenti davanti casa del premier. Mentre a Tel Aviv una manifestazione serale per la liberazione degli ostaggi annuncia che si metterà in marcia verso la città santa. Intanto dall'altra parte del confine, a Gaza, centinaia di persone si sono riversate su quel che resta delle strade proseguendo le proteste scoppiate martedì contro la guerra e il governo di Hamas. Nonostante la repressione messa in atto dai miliziani, il tam tam sui social ha raccolto cortei di uomini e ragazzi che hanno chiesto di 'vivere'.

Hamas li ha minacciati pubblicamente, accusandoli di essere il 'megafono di Israele'. Alcuni degli organizzatori sarebbero attivisti di Fatah, nemici storici dei jihadisti che governano l'enclave. I quali sono tornati a fare la voce grossa con Israele dopo la ripresa della guerra: "Ogni volta che l'Idf tenta di recuperare gli ostaggi con la forza, finisce per riportarli indietro dentro le bare", hanno dichiarato. La risposta di Netanyahu non si è fatta attendere.

"Quanto più Hamas persisterà nel suo rifiuto di rilasciare i rapiti, tanto più forte sarà la pressione militare: questo include la conquista di territori", ha assicurato. Il ministro della Difesa Israel Katz si è rivolto direttamente alla popolazione della Striscia: "Presto l'Idf opererà con forza in altre zone di Gaza, sarete costretti a evacuare e perderete ancora più territorio (riferendosi alla zona cuscinetto in espansione lungo il confine). I piani sono già approvati", ha detto, esortando tutti i residenti a seguire l'esempio delle manifestazioni a Beit Lahia. "Chiedete la rimozione di Hamas e il rilascio immediato degli ostaggi. È l'unico modo per fermare la guerra", ha avvertito. Nel frattempo, secondo fonti arabe, tutte le proposte presentate dall'Egitto per raggiungere un cessate il fuoco non avrebbero raccolto il consenso necessario per diventare una reale base su cui costruire una nuova tregua.

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