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La violenza alle donne lascia cicatrici nel loro Dna

La violenza alle donne lascia cicatrici nel loro Dna

L'Iss invita vittime a partecipare a uno studio, reclutate in 70

ROMA, 22 novembre 2024, 18:37

Redazione ANSA

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La violenza alle donne lascia cicatrici nel loro Dna - RIPRODUZIONE RISERVATA

La violenza alle donne lascia cicatrici nel loro Dna - RIPRODUZIONE RISERVATA

La violenza sulle donne lascia tracce profonde, che restano impresse fino al Dna.

In chi è stato vittima di violenza, infatti, è possibile rinvenire delle modifiche epigenetiche - delle vere e proprie cicatrici molecolari - a carico di alcuni geni. È quanto è stato scoperto nell'ambito del progetto Epigenetics for Women (Epi-We), realizzato dall'Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con l'Università degli Studi di Milano e la Fondazione Cà Granda dell'Ospedale Maggiore Policlinico di Milano.

Lo studio è ora entrato in una seconda fase, che punta a coinvolgere un maggior numero di donne che saranno seguite per 18 mesi per intercettare in ognuna di loro il prima possibile gli eventuali danni alla salute. L'obiettivo è capire fino a che punto queste modifiche si estendano all'interno del genoma delle vittime e quanto durano i loro effetti nel tempo. Ciò potrebbe consentire di mettere in atto strategie di prevenzione 'di precisione' dei danni della violenza.

 In cinque Regioni (Lazio, Lombardia, Campania, Puglia e Liguria), negli ambulatori, Pronto soccorso, case antiviolenza, Asl, le donne vittime di violenza saranno informate sulla possibilità di donare un loro campione biologico e di tornare per valutare nel tempo i cambiamenti epigenomici. Sono previsti 4 prelievi in totale, uno ogni sei mesi, accompagnati da rilevazioni sul benessere psicofisico, con particolare riguardo alle patologie stress-correlate. Le donne interessate a partecipare possono anche contattare l'indirizzo email [email protected].

"Già 70 donne hanno risposto e aderito al progetto e alcune di loro si sono anche raccontate, hanno anche parzialmente descritto il tipo di violenza subita. Per noi, e per tutte le donne, è un grande risultato", dice Simona Gaudi, ricercatrice del dipartimento Ambiente e Salute di Iss e coordinatrice di Epi-We.

 Intanto, l'Iss sta continuando nel suo impegno in formazione destinata agli operatori sanitari per riconoscere e prevenire la violenza di genere: i corsi hanno già raggiunto più di 18 mila operatori sanitari di tutti i 651 pronto soccorsi italiani e oltre 2 mila professionisti del territorio. "Rilevare la violenza sulle donne che arrivano nei Pronto soccorso non è affatto un processo scontato", afferma Anna Colucci, ricercatrice dell'Unità Operativa ricerca psico-socio-comportamentale, Comunicazione, Formazione dell'Iss. "È necessario che il personale di salute abbia conoscenze, competenze e strumenti per farlo".
   

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