Il capo chino in preghiera e la parola "vergogna" pronunciata in più occasioni: è l'immagine che racchiude il dolore di Papa Francesco che nel suo pontificato ha posto tra le sue priorità la lotta alla pedofilia e agli abusi che per decenni hanno devastato la Chiesa cattolica, incrinando la sua credibilità tra i fedeli.
In molti dei suoi viaggi ha incontrato le vittime ma lo ha fatto anche in Vaticano, in diverse occasioni, e nel 2019 ha convocato uno storico summit con i capi delle conferenze episcopali e i responsabili degli ordini religiosi di tutto il mondo.
Ma non è l'unica grande sfida che Francesco ha dovuto affrontare: in primo piano anche la riforma della Curia e la stretta sulle finanze, la ragione principe per la quale arrivò al Soglio di Pietro. Proprio i suoi appunti e i suoi interventi pre-conclave sulla necessità di imboccare la strada di "una Chiesa povera per i poveri" sono stati alla base dei tanti voti convogliati su di lui nel Conclave del 2013.
E ancora la giustizia, per la quale decise con un suo 'Motu proprio', una sorta di decreto-legge, che non c'era più immunità di nessun tipo: anche vescovi e cardinali, accusati di reati penali dai magistrati vaticani, se rinviati a giudizio, devono essere processati dal Tribunale come tutti gli altri e non da una Corte di Cassazione presieduta da un cardinale, come avveniva fino a soli quattro anni fa. Nessuno è intoccabile e il primo a sperimentarlo è stato il cardinale Angelo Becciu.
La lotta alla pedofilia, che ha proseguito in scia alle decisioni che erano già state assunte dal suo predecessore Benedetto XVI, è stato un processo doloroso ma deciso. A scuotere il Papa furono i racconti delle vittime alle quali ha aperto le porte della sua casa a Santa Marta. Racconti che portarono, per esempio, alle dimissioni in massa nella conferenza episcopale cilena o che hanno spinto a cammini di conversione altre episcopati, da quello irlandese a quello francese. Ma la "tolleranza zero" si è espressa soprattutto nei provvedimenti che cambiano radicalmente il modo di procedere per questi casi diffusi nella Chiesa.
Nel 2014 istituisce una commissione, all'interno della Congregazione per la Dottrina della Fede, per velocizzare l'esame delle denunce nei confronti di religiosi, evitando l'accumularsi di cause non esaminate. Nel 2016 rafforza le norme che prevedono la rimozione dei vescovi precisando che tra le "cause gravi" è compresa "la negligenza dei vescovi nell'esercizio del loro ufficio, in particolare relativamente ai casi di abusi sessuali compiuti su minori ed adulti vulnerabili".
Nel 2019 - appena un mese dopo il summit in Vaticano con i vescovi di tutto il mondo - con un Motu proprio Papa Francesco rafforzò le norme "per prevenire e contrastare gli abusi contro i minori e le persone vulnerabili" nell'ambito della Curia romana e nello Stato della Città del Vaticano. Affidò agli organi giudiziari vaticani la giurisdizione penale su questi reati; istituì, tra l'altro, l'obbligo di denuncia penale. E poi la stretta continua con altri provvedimenti, dall'abolizione del segreto pontificio per questi casi, all'allungamento della prescrizione a vent'anni e computata dal momento in cui la vittima ha compiuto i 18 anni di età.
Ci sono state anche le singole decisioni sui porporati che si sono macchiate di questi delitti: la più eclatante fu quella nei confronti del potente cardinale americano, Theodore McCarrick, che nel 2019 venne ridotto allo stato laicale. Più complessa è stata invece la vicenda dell'ex gesuita Marko Rupnik accusato di abusi da alcune religiose. Una storia sulla quale non c'è ancora una pronuncia definitiva.
Ma la preoccupazione numero uno è stata ascoltare le vittime, curare le loro ferite. Per questo chiamò uno di loro, lo scrittore cileno Juan Carlos Cruz, a far parte della stessa Commissione vaticana per la lotta agli abusi.
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