(di Manuela Tulli)
I fichidindia sono carichi di
frutti, le piante d'agave costellano la strada sterrata. Intorno
c'è la montagna aspra della Locride, a tratti inaccessibile. E'
qui che padre Frederic Vermorel ha deciso di mettere le sue
nuove radici: dalla Francia alla Calabria, dalle aule della
prestigiosa università parigina di Sciences Po al silenzio
dell'eremo dove prega e accoglie chiunque voglia condividere con
lui un pezzo di cammino. Il monaco francese da diciotto anni
custodisce l'eremo di Sant'Ilarione di Gaza, a San Nicola di
Caulonia (Reggio Calabria). "La fuga dal mondo è fuga dalla
mondanità, non dai dolori e dalle gioie dell'uomo, e quest'eremo
è come la cassa di risonanza di una chitarra, qui i dolori del
mondo si amplificano", dice all'ANSA il frate che non solo ha
scelto di custodire un luogo santo ma anche la natura nella
quale è situato. Per gli abitanti del borgo, a ottocento metri
dalla sua rocca solitaria, ha fatto battaglie contro gli incendi
e contro l'inquinamento del fiume. "Qui basta un niente per
mandare tutto in fumo", dice mostrando la natura spigolosa ma
carica di verde delle montagne calabresi. "Una bellezza che mi
ha fatto battere il cuore non appena sono arrivato e che va
preservata" dice quello che l'ex vescovo di Locri, monsignor
Giancarlo Maria Bregantini (ora titolare della diocesi di
Campobasso), che gli affidò il sito facendolo monaco diocesano,
definisce "il paladino della Laudato si'".
I canadair che sorvolano l'Italia cercando di strappare le
bellezze dei boschi alla sciagura dei roghi, hanno volato in
questi giorni anche sulla vallata calabrese dove c'è la rocca
custodita da padre Frederic. Dappertutto ci sono cartelli che
invitano a non accendere falò o barbecue. "Una volta mi
fermarono in paese chiedendomi: ma è vero che cacci la gente a
secchiate d'acqua? Non capivo. Poi mi è venuto in mente che
qualche giorno prima dalla finestra della mia stanza avevo visto
una famiglia che aveva acceso il fuoco per fare il picnic. Ma
qui non è possibile, basta niente per distruggere tutto. Ho
preso un secchio d'acqua dal fiume e sono andato da loro
spiegandogli che il fuoco non si poteva accendere e ho porto
loro il secchio per spegnerlo". Sorride a quel ricordo che lo
aveva trasformato, agli occhi di alcuni paesani, in un
misantropo. Lui che invece ha la porta sempre aperta a chiunque
passi di lì. Anche a persone legate alla 'ndrangheta? chiediamo.
"Non che io sappia", risponde. Perché lui apre la porta senza
chiedere chi sei e perché sei lì.
Solo la pandemia lo ha reso più solo. "Per mesi non è venuto
nessuno, non era mai successo in questi diciotto anni". Ma
comunque "ho continuato a fare le mie passeggiate nei boschi,
come sempre, senza mascherina perché non c'era nessuno da cui
proteggersi: io e la natura di questi posti, io e questa
bellezza. Dite che è una natura ostile? Io la trovo invece
accogliente". Ed è per questo che preserva la 'sua' terra ancora
in gran parte incontaminata. Anche con vere e proprie
'battaglie' se è necessario: "Credo molto nella valenza
'politica' della vita eremitica", scrive infatti nel suo
libro-diario appena pubblicato da Edizioni Terra Santa.
Il caldo non dà tregua, si respira solo tra le spesse mura
della chiesetta in cima all'eremo. "Chiudete la porta, in chiesa
può entrare chiunque ma il caldo preferisco lasciarlo fuori".
Eppure queste temperature possono essere anche motivo di
nostalgia. "Dopo aver vissuto un periodo in Sicilia sono andato
in Belgio a studiare teologia. Ma mi mancava l'Italia, il Sud,
il sole", racconta. Quindi l'incontro con il vescovo Bregantini
che attraverso lui ha fatto rivivere l'eremo da decenni
abbandonato.
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