"Non c'è bandito che si rispetti
che prima o poi non sia finito sul grande schermo, trasfigurato
in eroe da esaltare o mostro da abbattere da registi e
sceneggiatori sensibili a quell'impulso ribellistico che da
sempre scorre nelle vene del Paese. Le tante pellicole sul
brigantaggio meridionale, sul banditismo regionale e sui cani
sciolti metropolitani hanno fotografato l'evoluzione del
fenomeno criminale alla luce degli straordinari mutamenti
sociali ed economici vissuti nella Penisola nell'arco di un
secolo o poco più". E' l'opinione di Carmelo Franco e Paolo Di
Fresco, avvocati penalisti e cinefili accaniti che hanno scritto
un libro intitolato "Il cinema fuorilegge", storie di banditi,
briganti e brigantesse, edito da Frascati & Serradifalco (193
pagine, 16 euro).
"Secondo i due autori, nell'immaginario collettivo il
brigantaggio si è imposto anche grazie ad alcuni elementi
ricorrenti quali il controllo del territorio, l'uso della
violenza e i legami con il potere, ripresi e sviluppati
successivamente dalla mafia", sottolinea nell'introduzione Ivan
Scinardo.
"D'altra parte, la storia postunitaria del Paese ha
coinciso,- osservano i due legali - per lunghi tratti, con la
repressione del brigantaggio meridionale e, più in generale, del
banditismo regionale nelle sue diverse declinazioni. Briganti
come Fra Diavolo, Carmine Crocco, Giuseppe Musolino e, in epoca
più recente, Salvatore Giuliano e Renato Vallanzasca - vere e
proprie figure archetipiche del bandito moderno, in cui
coesistono ribellismo sans cause, confuse istanze di giustizia e
violenza efferata - hanno stimolato l'immaginazione di autori
tra loro molto distanti, che hanno raccontato il banditismo
secondo chiavi di lettura diverse, esaltandone ora la dimensione
romantica e avventurosa, ora le implicazioni criminali e
socio-politiche". Per Franco e Di Fresco: "Modelli di
riferimento di questa concezione romantica del bandito sono due
figure immaginarie che, al di là delle diverse coordinate
storiche e geografiche in cui si collocano, presentano
straordinarie somiglianze: Robin Hood e Zorro". I due autori
indagano anche il banditismo al femminile.
"Durante la feroce repressione del brigantaggio, riviste e
giornali sabaudi dedicarono articoli e reportage alle
brigantesse, ribattezzandole drude: parola gaelica che in senso
dispregiativo indica l'amante libertina, la femmina di malaffare
e disonesta. - spiegano - Le donne dei briganti non erano, però,
le diavolesse violente di cui favoleggiavano le cronache
pruriginose dell'epoca ma donne analfabete, cresciute in un
contesto di nera miseria e subalternità sociale, che si davano a
una vita brada e clandestina pur di sottrarsi alle spregevoli
prevaricazioni degli occupanti".
"Dall'analisi dei titoli cinematografici proposti dai due
autori, emerge chiaramente - chiosa Scinardo - come il
brigantaggio abbia trovato nel cinema una sorta di moderno
cantastorie: uno strumento straordinario di narrazione capace di
offrire nuovi linguaggi e orizzonti di riflessione"
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