"C'erano poliziotti e carabinieri che presidiavano la casa, poiché il vicepresidente del Consiglio regionale (Luciano Fabiani, ndr) veniva accusato di aver svenduto il capoluogo: passava per il traditore pubblico, attirando l'attenzione di tutti i giornali nazionali e locali.
Per fare incontrare i giornalisti con Fabiani inventammo uno stratagemma". A raccontare gli eventi di 50 anni fa è l'impresario teatrale, direttore artistico di teatro pubblico e festival, regista e drammaturgo, Federico Fiorenza, all'epoca dipendente Tsa: la sera del 26 febbraio 1971 - quando scoppiò la rivolta in città - si trovava insieme con Fabiani a Tolentino per il debutto della produzione dell'opera teatrale "Non si scherza con l'amore" di Alfred de Musset con la regia di Biagini.
Fabiani e Fiorenza rientrarono di nascosto in Abruzzo il giorno dopo, evitando la città teatro di disordini tra i quali la devastazione dell'abitazione del politico della Dc, e si rifugiarono a Lucoli (L'Aquila), nella casa di famiglia di Fiorenza. "Tornai in teatro per raccogliere gli ultimi messaggi da riportare a Luciano - racconta all'ANSA Fiorenza - e lì trovai la richiesta delle testate giornalistiche della stampa nazionale e internazionale per intervistare Fabiani, al quale le folle di tumultuosi stavano augurando la morte. La notizia dei fatti dell'Aquila erano arrivate, infatti, fino a Londra e Francoforte".
"Dino Cecchini, proprietario di un autobus privato - ricorda Fiorenza - informò i giornalisti che si sarebbe tenuta una conferenza stampa in segreto. Cecchini si impegnò in una sceneggiata pubblica e, dichiarando che avrebbe portato i giornalisti a visitare i dintorni della città dell'Aquila, fece salire una quindici di persone sul suo autobus".
I giornalisti arrivarono a Lucoli, dove al secondo piano della casa di Fiorenza, Luciano Fabiani spiegò agli aquilani e all'Italia intera del difficile compromesso politico che aveva raggiunto per scongiurare il rischio di perdere il capoluogo di regione, a causa dell'inferiorità numerica dei rappresentati aquilani in Regione. Gli articoli dei più grandi giornali italiani, tra i quali Il Messaggero, l'Espresso, l'Unità, Il Tempo e il settimanale locale L'Aquilasette, furono il mezzo di collegamento tra Luciano Fabiani, minacciato di morte, e il paese. Personaggi noti contribuirono a dar voce alla verità di Fabiani: il presidente del Tsa, Federici, l'artista Remo Brindisi il responsabile culturale della Democrazia Cristiana, il Ministro aquilano Lorenzo Natali e Remo Gaspari, tutti si mossero per chiarire la posizione di Fabiani e rendere giustizia al coraggio del politico. "Vedere Luciano così avvilito, dopo aver dato così tanto in politica e in cultura - sottolinea Fiorenza - mi lascia una sensazione di grande amarezza e dispiacere. Era chiara la strumentalizzazione del popolo che non capiva che la mediazione era stata il male minore per L'Aquila".
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