La situazione clinica di Papa Francesco, "sulla base delle informazioni rese note, appare seria e da monitorare strettamente, ma non al momento compromessa". E' la valutazione dello pneumologo Stefano Nardini, past president della Società italiana di pneumologia, secondo il quale il quadro generale si presenta "complesso" anche, probabilmente, per il peso di eventi pregressi.
"La situazione appare seria - afferma l'esperto all'ANSA - perché siamo in presenza di una polmonite bilaterale che si innesta su un organismo di 88 anni e, forse, in presenza di pregresse malattie polmonari risolte o cronicizzate. Al momento il quadro clinico sembrerebbe comunque non critico, poiché il Papa è stato in grado di alzarsi e mettersi seduto, oltre che svolgere delle attività. Tuttavia - precisa - ci mancano una serie di informazioni che sono relative, ad esempio, al fatto se venga o meno somministrata l'ossigenoterapia continuativa. Un fattore questo che potrebbe fare la differenza, indicando una condizione di maggiore criticità".
Inoltre , rileva Nardi, "non sappiamo quale sia la compromissione generale dell'organismo del Pontefice, ovvero se gli effetti dell'insufficienza respiratoria siano limitati all'organo respiratorio, i polmoni, o se coinvolgano anche altri apparati come quello cardiovascolare. Infatti, se l'insufficienza respiratoria è tale da determinare una riduzione dell'ossigeno nel sangue, ciò si può ripercuotere sulla funzione cardiaca e di altri organi". Altro fattore da considerare, è il fatto che il Papa da giovane ha subito l'asportazione di parte di un polmone: "Questo in qualche modo pesa sulla situazione respiratoria generale", aggiunge lo pneumologo. La stessa sala stampa vaticana ha definito quella del Pontefice come una situazione "complessa": "Questa definizione - rileva - potrebbe indicare che accanto problema polmonare siano insorte eventuali complicanze a carico di altri organi, oppure potrebbe indicare che questa attuale situazione polmonare si è instaurata su una condizione pregressa già attenzionata".
Rispetto invece alla terapia, che è stata cambiata, "molto dipende da quanta parte dei polmoni è interessata dalla polmonite bilaterale. Potrebbe infatti trattarsi di due piccoli focolai in entrambi i polmoni o di focolai più grandi. In genere - commenta Nardini - la terapia viene cambiata perché all'inizio, nel caso di infezioni polmonari, si fanno delle terapie antibiotiche ad ampio spettro, quando non si sa ancora quale possa essere precisamente l'agente che ha causato l'infezione e per questo si utilizzano antibiotici che possono avere effetto sulla maggior parte dei batteri; successivamente, se si hanno informazioni più precise sul tipo di batteri coinvolti, la terapia antibiotica viene mirata meglio. Inoltre, nel caso del Papa, è possibile che l'aggiustamento delle terapie abbia comportato anche l'aggiunta di farmaci per monitorare la situazione cardiocircolatoria e prevenire eventuali scompensi cardiovascolari".
Per una valutazione corretta, argomenta lo specialista, "sarebbe importante sapere se il Pontefice, prima dell'insorgenza della polmonite bilaterale, avesse già dei problemi respiratori cronici, ovvero - come accade in molti soggetti anziani - presentasse una condizione di bronchite cronica o enfisema polmonare. La presenza di disturbi cronici pregressi potrebbe infatti pesare sull'evoluzione dell'attuale stato clinico. La polmonite bilaterale potrebbe cioè rivelarsi più o meno pesante a seconda che ci sia o meno questo pregresso coinvolgimento polmonare in una malattia cronica". In quest'ultimo caso, ipotizza, "il ristabilirsi di un quadro clinico normale potrebbe richiedere anche due o tre mesi".
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