Salvare le tartarughe marine dal
pericolo di restare intrappolate in attrezzi da pesca
abbandonati o smarriti e rifiuti di plastica. E' questo uno
degli obiettivi di Life Oasis, una nuova iniziativa europea che
vede l'associazione Filicudi wildlife conservation fra i
partner. Il progetto, che durerà cinque anni, punta a mitigare
gli impatti negativi della pesca e dei rifiuti marini sulla
biodiversità del Mediterraneo, riducendo il rischio
intrappolamento che deriva da attrezzi da pesca abbandonati o
smarriti, con particolare attenzione alle tartarughe 'Caretta
caretta'.
In particolare, Life oasis svilupperà di un modello
intelligente di Ifad (intelligent anchored Fish Aggregating
Device) cioè di dispositivi ancorati sul fondale marino che sono
usati per pescare in modo controllato e sostenibile. Gli
strumenti saranno dotati di sensori avanzati per monitorare le
l'ecosistema circostante e raccogliere dati sulla presenza di
pesci e specie protette come le tartarughe marine. Verrà inoltre
realizzata una mappatura degli attrezzi da pesca abbandonati,
persi o scartati nelle zone interessate dal progetto.
"Il progetto unisce tecnologia e ricerca e si avvale della
collaborazione diretta tra pescatori, operatori del settore e
ricercatori per prevenire la cattura accidentale delle
tartarughe marine, migliorare la sostenibilità della pesca e
proteggere la biodiversità", spiega la dottoressa Monica Blasi,
presidente dell'Associazione Filicudi wildlife conservation. "Le
azioni che porteremo avanti - conclude Blasi - contribuiranno a
migliorare la salute degli ecosistemi marini, prevenendo
ulteriori danni alla biodiversità e riducendo il rischio di
cattura accidentale di specie protette".
Life Oasis è un'iniziativa co-finanziata dall'Unione Europea
nell'ambito del Programma LIFE. Il progetto è coordinato da
Alnitak Research Institute (una ONG spagnola) e vede la
collaborazione di prestigiosi partner, tra cui il Consiglio
superiore delle ricerche scientifiche spagnolo (CSIC) e, fra
quelli italiani, la Stazione Zoologica Anton Dhorn ed il
Dipartimento di Biologia dell'Università di Pisa.
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