C'è la recitazione, incessante, del Corano (dalla mattina alla sera) qualche lamentela per i pasti serviti dalla mensa del carcere "voglio andare via, qui si mangia davvero male" o per il telefilm trasmesso dalla tv italiana: "Questa serie è brutta e noiosa". I protagonisti sono Idris, Habi, Labib ed Abdall, i quatto "leader" (come amano chiamarsi) degli scafisti arrestati dalla squadra mobile di Genova nel luglio scorso con l'accusa di essere alla guida del barcone naufragato al largo di Capo Passero (Siracusa) con 106 migranti a bordo. Non c'è pentimento nelle loro parole, intercettate dalla polizia, anzi. Essere scafisti è una cosa di cui andare fieri. Al punto da insegnare ai colleghi di cella (rigorosamente nordafricani) le regole e i segreti di questo lavoro. "E' semplice, si guadagna molto bene e soprattutto c'è sempre tanto, tanto lavoro in Egitto". Idris e gli altri non sanno che la squadra mobile su mandato dei sostituti procuratori della Dda di Genova Federico Panichi e Federico Manotti registra tutto quanto. Ha piazzato delle cimici nelle celle e quelle conversazioni saranno la "prova" regina del loro coinvolgimento come scafisti (per sfuggire all'arresto, infatti, si erano mescolati ai migranti e le fonti di prova sono le sole accuse di alcuni passeggeri). I quattro raccontano di come il mestiere di scafista sia una fonte di reddito incredibile: "Sai quanto ha guadagnato il proprietario della barca? - dice Hassan ad un compagno di cella - 8 milioni di lire egiziane…( circa 800 mila euro)". Chi organizza i viaggi viene descritto come un mito, un'icona: "Il giro d'affari in Egitto è gestito da Samir B. - racconta Idris - è un mito, perché paga tutti e bene. Ma lo fa perché ci guadagna. Ha un sacco di soldi, 30 anni e porta i baffi: un vero capo". Il sogno è quello di aprire una gelateria nel centro di Alessandria D'Egitto: "Appena esco dal carcere - sottolinea Labib - vado a farmi dare i miei soldi. E investo tutto in una gelateria.
Dovrebbero bastare 100 mila lire egiziane (10 mila euro) per aprirla". I quattro poi raccontano ai compagni di cella la propria avventura e spiegano i segreti del mestiere: "I controlli? Non ti preoccupare, in Egitto non spara nessuno - dice Hassan - si parte alle 2 o a mezzanotte, prendiamo la Fluka (piccolo gommone, ndr) si caricano dieci persone per volta e si trasbordano sulla barca più grossa. Se fai così è perfetto, nessuno ti prende se fai così". I controlli sono rari: "La polizia qualche volta va sulla spiaggia con i cammelli. Sono per la sorveglianza. Ma si possono corrompere con dei soldi…". C'è tantissima gente che vuole partire dall'Egitto verso l'Italia: "I clienti migliori sono i siriani - dice Labib - loro hanno la certezza di non essere rispediti indietro e pagano fino a 5 mila dollari". Altra lezione, il cellulare satellitare: "Devi sempre usare quello per telefonare, non il tuo privato - dice Habi - quando poi arriva la guardia costiera lo butti in mare!". C'è poi il vanto per la traversata per cui sono dietro le sbarre: "Nessuno è mai arrivato fino il Liguria, nel nostro paese quando torniamo ci cercheranno tutti per questo lavoro" e la descrizione del viaggio appena fatto: "Abbiamo rischiato grosso - dicono - la barca aveva un problema meccanico e con il mare grosso non saremmo riusciti a controllarla. Dobbiamo ringraziare Allah". Sul barcone c'è anche tempo per fare amicizia: "A quelli che durante il viaggio erano più simpatici - racconta Idris - ho chiesto il nome e chiedo l'amicizia su Facebook...". Per i quattro la procura ha chiesto il rinvio a giudizio sono indagati per associazione per delinquere finalizzata all'introduzione illegale di extracomunitari in territorio italiano, trasporto illegale e false generalità.
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