Mentre la Procura di Milano
valuterà, dopo il deposito delle motivazioni, il possibile
ricorso in appello, dagli atti dei pm depositati nel processo e
dalle spiegazioni provvisorie fornite ieri dal Tribunale emerge
un netto contrasto di lettura su ruoli e responsabilità dei
vertici e dei dirigenti di Rete ferroviaria italiana. Tutti
assolti per "non aver commesso il fatto" dalle accuse di
disastro ferroviario colposo e omicidio e lesioni colpose per
l'incidente ferroviario di Pioltello del 2018, con 3 morti e 200
persone rimaste ferite o con traumi psicologici.
Le politiche sulla "manutenzione", che avrebbero dovuto
riguardare anche quel giunto ammalorato, sopra il quale si
staccò un pezzo di rotaia facendo deragliare il treno, "sono
scelte riconducibili alla cosiddetta Alta Direzione della
società, attribuibili direttamente ai suoi vertici", hanno
scritto i pm Maura Ripamonti e Leonardo Lesti in una memoria di
348 pagine depositata nel processo.
Per i giudici della quinta penale, invece, come chiarito in
una nota del Tribunale, l'ex ad e gli altri manager assolti non
potevano sapere di quel giunto in pessime condizioni. E mancano
le prove che da parte loro ci siano state "condotte commissive o
omissive" per gli "effettivi flussi informativi" di cui
disponevano su quel giunto e sulla "inadeguatezza della
manutenzione".
I pm, dal canto loro, hanno stigmatizzato, e proprio sul
fronte delle responsabilità, il fatto che in Rfi (anche la
società è stata assolta) non fossero state "disciplinate in
alcun modo le modalità di comunicazione ai livelli superiori
delle difettosità rilevate in circostanze diverse dalla
vigilanza in linea". Spettava ai pianti alti, in pratica,
migliorare quei "flussi informativi". Il "modello gestionale
della prevenzione", invece, era "sbilanciato verso obiettivi
prestazionali", secondo la Procura, ovvero si evitava il più
possibile di interrompere la circolazione dei treni per le
riparazioni. Tesi cancellata ieri dai giudici.
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