"Solo di recente ho realizzato
che ogni mio lavoro è stato il tentativo di creare un
dispositivo mnemonico. In Avalanche il dispositivo è diventato
proprio il motore della successione dei movimenti in scena, nel
tempo reale della performance". Così Marco D'Agostin parla dello
spettacolo Avalanche, vincitore del premio Ubu 2018 come miglior
performer under 35 e nominato proprio con questo lavoro nella
categoria miglior spettacolo di danza, in scena sabato 26 (ore
19) e domenica 27 ottobre (alle 17) per l'edizione numero 25 di
Autunno Danza, al Teatro Massimo, in collaborazione con Sardegna
Teatro.
"Non saprei neanche dire perché ne sono ossessionato e perché
qualsiasi tema io assuma come filtro rispetto al lavoro che sto
facendo alla fine tutto torna all'atto del ricordare. Sono stato
un bambino che amava imparare a memoria le cose - aggiunge il
coreografo - ho sempre praticato molto la memoria nozionistica:
c'era qualcosa che mi interessava nell'idea di ricordare tanto e
tutto".
D'Agostin - performer e coreografo attivo nei settori del
teatro, della danza e del cinema - è accompagnato sulla scena
dalla portoghese Teresa Silva. La sua poetica è fluida,
dinamica, in adattamento continuo, con un'attenzione costante
agli atlanti geografici, ai cataloghi di creature estinte e a
questioni inerenti il funzionamento della memoria, la febbre
d'archivio e l'intrattenimento come forma di una specifica
relazione tra spettatore e performer.
In Avalanche i due esseri umani protagonisti vengono
osservati da occhi ciclopici come antiche polveri conservate in
un blocco di ghiaccio. Camminano all'alba di un nuovo pianeta,
sotto il peso della loro millenaria tristezza. Tutto quello che
non è sopravvissuto agisce, invisibile, su tutto ciò che invece
è rimasto e che viene rievocato come regola, collezione, elenco
di possibilità. La danza si pone in una costante tensione verso
l'infinito dell'enumerazione, alla ricerca accanita di un esito.
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