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Temi caldi
(di Max Firreri)
Se alla borgata di
Marinella di Selinunte è legata la tradizione della pesca
artigianale delle sarde, questo si deve ai pescatori del
Palermitano. È un legame lontano nei tempi quello che mette
insieme comunità di pescatori siciliani dei due mari, Tirreno e
Mediterraneo. Già nel 1700 il Marchese di Villabianca, nei suoi
scritti, descriveva la costa tra Marinella di Selinunte e
Torretta Granitola come la 'Costa del Giglio', perchè era
ricolma del pancrazio, la pianta di origini mediterranee.
Con l'arrivo dei pescatori di sarde che provenivano dal
Palermitano, quel tratto divenne la 'Costa di mezzu journu': era
quella che guardava a sud e nel linguaggio popolare delle
maestranze dedite alla pesca del pesce povero era chiamata
proprio così. Se lo ricordano bene ancora gli anziani pescatori,
quelli che oggi guardano il mare con un occhio diverso, seduti
al Circolo di fronte il porto ricolmo di alghe. Così sono nate
le borgate di Marinella di Selinunte e Torretta Granitola,
quando i marinai delle 'sardare' che provenivano dal Palermitano
dovettero emigrare sulla costa sud dell'isola, perchè le tonnare
avevano messo a rischio la pesca delle sarde.
Il legame di Marinella di Selinunte con la sarda inizia
proprio da lì. Più di mezzo secolo fa, quando alcune famiglie di
Porticello e Balestrate arrivarono a Selinunte per avviare la
pesca delle sarde. C'erano le 'sardare', grosse imbarcazioni a
vela latina che venivano tirate a secco dagli stessi pescatori:
"Oltre 50 anni fa qui non c'era il porto - racconta Carlo
Barraco, presidente della cooperativa nata nel 2019 che mette
insieme i pescatori rimasti - e gli anziani che andavano a mare,
oggi scomparsi, mi raccontavano che le barche venivano tirate a
secco con la forza delle braccia".
La pesca delle sarde ha dato l'identità marinara alla borgata
nata sulla costa che degrada dal Parco archeologico sino al
mare. Pesca con la lampara, una caccia tra l'uomo e il pesce,
vissuta durante le notti quando la luna non c'è: "il gioco lo fa
proprio quella fonte luminosa a bordo della barca - racconta
Carlo Barraco - che sta accesa ore fino a quando le sarde
vengono attratte e risalgono dal fondo verso la superficie. Così
in quel momento si getta la rete da circuizione e in pochi
minuti le sarde rimangono chiuse nell'enorme sacca".
Oggi l'unica 'sardara' rimasta è il motopesca 'Franca' di
Nicolò Orlando: il suo carico di pesce soddisfa il fabbisogno
della borgata (sia per l'asta mattutina del pesce che per i
ristoranti). Non ci sono più, invece, i magazzini per la
salatura delle sarde. Le esperienze che si registrarono a
Marinella di Selinunte furono quelle di alcune famiglie del
Palermitano che impiantarono, proprio a ridosso del porto,
alcuni ampi locali dove si conservava il pesce azzurro, primo
fra tutti le sarde. .
A Marinella di Selinunte la sarda ha dato anche un'identità
gastronomica, oltre che quella della pesca e oggi - sarde e
comunità di pescatori - sono presidio Slow Food. Compare in
tutti i menù dei ristoranti e viene 'ncannata' e poi arrostita
sul fuoco. "Sono pezzi di canna (spito, ossia spiedo, ndr) dove
le sarde vengono infilzate e poi messe sul fuoco e in pochi
minuti sono pronte per essere mangiate", racconta Carlo Barraco.
La Selinunte dei pescatori in bianco e nero è anche quella
dove più di mezzo secolo fa ci fu un tentativo di installare una
tonnara nel mare antistante la borgata ma l'operazione non ebbe
successo, probabilmente a causa delle correnti. A Torretta
Granitola, invece, la tonnara funzionò sino a metà degli anni
Novanta. Selinunte è rimasta legata alla pesca delle sarde.
All'asta del pesce ogni mattina al porto le altre barche che
praticano la pesca sotto costa portano anche altro pescato. È il
mercato che comanda e la sarda, nel mezzo, resiste ancora a
fatica. Ma è il pesce che porta con sé la storia della borgata.
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