Spunta un secondo squarcio sulla
Seajewel, la petroliera che ha subito un attentato davanti al
porto di Savona la notte di San Valentino. Un secondo foro
causato dal secondo ordigno che, contrariamente a quanto
ritenuto fino a oggi, non è esploso dopo essere caduto. La
scoperta è stata fatta dagli investigatori italiani dopo che
l'imbarcazione è stata messa in secco nel porto del Pireo dove
era arrivata alcune settimane dopo l'attentato. Anche la seconda
esplosione non ha distrutto le pareti della camera di sicurezza
che conteneva il petrolio, evitando così un disastro ambientale.
Greggio che, come emerso dalle indagini, è di origine algerina
mentre proviene dalla Libia quello trasportato dalla Seacharm,
la gemella arrivata in Liguria qualche giorno dopo.
Dopo l'attentato il procuratore Nicola Piacente e la pm
Monica Abbatecola avevano aperto un fascicolo per naufragio con
l'aggravante del terrorismo. È ancora in corso l'analisi della
scatola nera per capire se il tracker sia stato spento durante
il viaggio dal porto petrolifero di Arzew in Algeria all'Italia.
La Procura ha delegato digos e guardia costiera a indagare a
tutto tondo per scoprire non solo gli autori ma anche il movente
dell'attentato. L'ipotesi è quella di un collegamento della
Seajewel con la cosiddetta flotta fantasma russa.
I due periti nominati dalla Procura di Genova, Federico
Canfarini e l'ingegnere navale Alfredo Lo Noce sono andati a
verificare di persona lo scafo della nave. Gli ordigni usati
potrebbero essere mine Limpet o 'a patella'. O almeno questa è
l'ipotesi delle autorità greche che stanno indagando
sull'attentato alla Seacharm, gemella della Seajewell. Le mine
vengono attaccate alle navi con magneti e solitamente contengono
Tnt. I tamponi sulla Seajewell potrebbero confermare
quest'ipotesi che farebbe pensare a un'unica matrice per i due
attentati.
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