Gala "è il mio ossigeno, con il suo sangue ho creato la mia arte". E' una delle frasi con le quali Salvador Dalì, interpretato da uno straordinario Ben Kingsley, delinea il suo rapporto assoluto con la moglie, dittatoriale quanto fragile (Barbara Sukowa) tra amore, arte, ossessione, violenza emotiva, codipendenza, paure, e bisogno continuo di soldi in Daliland di Mary Harron, presentato al Toronto International Film Festival poi al Torino Film Festival e ora in sala dal 25 maggio, distribuito da Plaion Pictures. E' un viaggio nel mondo colorato, scatenato, folle e spesso opprimente di uno dei primi veri artisti mediatici del' 900, Salvador Dalì, qui raccontato nel suo periodo culmine di successo e di inizio della decadenza, tra anni metà '70 a New York e inizio '80 a Cadaques in Spagna. Nel cast, anche Christopher Briney, Ezra Miller, nei panni del giovane Dalì, Rupert Graves e l'attrice transgender Andreja Pejic nel ruolo di una delle principali muse per l'artista, Amanda Lear. "Ho potuto creare il mio Dalí, il mio ritratto e questo ha evitato che rimanessi ammaliato e mi bloccassi di fronte alla prospettiva di doverne rendere tutti i manierismi fisici e vocali - ha spiegato Ben Kingsley sul personaggio -. Non sono mai diventato lui, c'è una separazione, una distanza che è elettrizzante e terrificante. Un po' come un acrobata che oscilla sul trapezio avanti e indietro, per poi lanciarsi, girare a mezz'aria e afferrare un altro trapezio". Per raccontare Dalì e l'universo che gli gravitava intorno, la regista (che ha diretto, fra gli altri, American Psycho e Ho sparato a Andy Warhol) si è affiancata come sceneggiatore, il marito, anche lui cineasta, John C. Walsh, in una storia che parte nel 1974 a New York da un personaggio fittizio, il ventenne appassionato d'arte James (Briney), giovane impiegato nella galleria d'arte dove si sta preparando la nuova mostra di Dalì. Il ragazzo, in veste di fattorino per consegnare l'ennesimo anticipo alla moglie dell'artista, entra in contatto con la realtà folle dell'autore di opere come La disintegrazione della persistenza della memoria. Giornate nelle quali la necessità di creare e la crisi di ispirazione di Dalì si univano a un bailamme di muse, come Amanda Lear, party, droga, amici inaspettati come Alice Cooper (Mark McKenna), avventure sessuali (per le quali Dalì si ritagliava il ruolo di voyeur) e i giovani amanti di Gala che la donna riempiva di denaro, come la nuova fiamma Jeff Fenholt (Zachary Nachbar-Seckel), allora interprete a Broadway di Jesus Chrst Superstar. Un delirio di coppia, quello tra Dalì e Gala (che vediamo in flashback anche nel loro primo incontro e innamoramento, nel 1929 a Cadaques, quando la donna era la moglie del poeta Paul Eluard, uscita da poco da un menage a trois con Max Ernst), che viene così riassunto nel film dal pittore: "Gala è un segreto dentro un mio segreto. Vidi nel suo cuore la medesima la mia pazzia, trovai la mia metà".
Il film che perde un po' di profondità nel racconto d'insieme, cedendo in alcuni tratti troppo all'aneddotica, si regge soprattutto sulle straordinarie prove di Ben Kingsley e Barbara Sukowa, intensa nel tracciare una Gala tanto severa nell'aspetto quanto consumata dalla fame di giovinezza e riconoscimento. "Dalì amava la passione di Gala e lei gli ha dato completamente la sua vita, anche se ha avuto altre relazioni, soprattutto nell'ultima parte della sua vita - ha spiegato l'attrice -. Era importante mantenere una certa aria di mistero su di lei. Puoi leggerla in molti modi diversi. È dura ed è brutale, ma ha anche un lato vulnerabile. Penso che anche Mary volesse mostrare questo aspetto in piccole parti".
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