L'Afi, Associazione Fonografici Italiani, ha annunciato nel corso dell'Assemblea Generale l'espulsione di Rai Com S.p.A. a seguito di "reiterate condotte in contrasto con i principi fondamentali dello Statuto e con le norme che regolano la gestione dei diritti connessi". Lo comunica una nota. La decisione, presa dal Consiglio Generale il 19 settembre, è stata comunicata ufficialmente ieri a tutti gli associati, presentando la documentazione che dimostra "non solo la condotta di dubbia onestà di Rai Com che, fino prova contraria, si intesta e incassa i proventi di registrazioni non proprie - aprendo anche una delicata parentesi di non corretta rappresentazione contabile - ma anche di violazioni relative al Dpcm del 19 dicembre 2012, alla Direttiva 2014/26/Ue, alla legge 124/2017 e al D.lgs. 25/2017 riguardo alla modalità di intermediazione dei diritti che regolano i rapporti tra broadcaster, collecting e titolari dei diritti su registrazioni musicali".
"Non possiamo accettare che un nostro associato agisca in maniera contraria agli obblighi e ai principi stabiliti dal nostro Statuto e dal Codice Etico di Confindustria creando situazioni di conflitto che danneggiano l'efficienza e l'immagine dell'intero settore", dichiara Gianni Di Sario, presidente di Afi.
"Mai avrei pensato di assistere a una rottura così profonda tra due storici enti che collaborano da oltre 50 anni - aggiunge Sergio Cerruti, presidente della Commissione Affari Legali ed Istituzionali ed ex presidente di Afi -. Ho chiesto ripetutamente a Rai e Rai Com di trovare una soluzione alle nostre contrapposizioni ma hanno preferito giocare con i dati e distorcere le norme a loro piacimento - sottolinea -.
Un'attività ben nota nella tv pubblica, che coinvolge dal maestro Vessicchio ai produttori Afi passando per Sanremo, e che richiederebbe un intervento deciso del governo. Peccato che l'attenzione sia rivolta a temi meno urgenti come è stato con i decreti anti-rave, lasciando irrisolti contenziosi che pesano su associazioni, società, persone e famiglie".
"Come la Rai si affida al canone pagato dalle famiglie italiane, alcune di quelle stesse famiglie si affidano ai proventi che la Rai dovrebbe riconoscergli - conclude Cerruti -.
Eppure, se il primo è un atto dovuto, sul secondo la Rai preferisce spendere milioni in avvocati e tribunali. Ora, pare che la legge di bilancio abbia congelato le spese di Rai in favore di personale e consulenze esterne (si spera anche per quei noti studi legali che da anni usufruiscono di 68 milioni di euro stanziati per guerre giudiziarie senza fondamento). Chissà, magari ora riusciranno a destinare quei fondi a qualcosa di più utile, come pagare i diritti agli artisti, ai produttori e, aggiungerei, anche agli autori di brani musicali".
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