È un nuovo LaChapelle quello delle cento opere in mostra al Palazzo delle Esposizioni di Roma, con le quali il fotografo torna in Italia dopo 15 anni. Non più le celebrities, i colori saturi, la fantasmagoria surreale che ironizza in maniera estrema sulla vita contemporanea e sul mondo di Hollywood: "David LaChapelle. Dopo il diluvio" è una rassegna di opere di un artista più spirituale, più attento ad altri temi, espressione di una svolta che risale a nove anni fa, quando LaChapelle aveva deciso di rompere con quel mondo della moda che lo aveva reso ricco e famoso. La mostra al Palazzo delle Esposizioni fino al 13 settembre, oltre ad alcune opere prodotte tra il 1995 e il 2005 che hanno consacrato al successo il fotografo statunitense, propone il risultato di questo passaggio: l'esposizione si concentra sui lavori realizzati da David LaChapelle a partire dal 2006, anno di produzione della monumentale serie intitolata "The Deluge", ispirata al grande affresco di Michelangelo nella Cappella Sistina, che segna un punto di svolta profonda nel lavoro del fotografo statunitense. "Lo incontrai dopo la visita.
Aveva avuto una sorta di sindrome di Stendhal, era sconvolto - racconta Gianni Mercurio, curatore della mostra - Mi ha stretto la mano e mi ha detto: Gianni, I have to change my life, help me". LaChapelle torna a concepire un lavoro con l'unico scopo di esporlo in una galleria d'arte o in un museo, a realizzare opere non commissionate e non destinate alle pagine di una rivista di moda o a una campagna pubblicitaria: nelle serie "Car Crash", "Negative Currencies", "Hearth Laughs in Flowers", "Gas Stations", "Land Scape", "Aristocracy" scompare clamorosamente la carne, elemento caratterizzante della sua arte. "Credo che da una foto in una galleria un visitatore si aspetti molto di più di un'immagine che può vedere su un magazine - ha spiegato l'artista - e ho voluto spendere molto tempo su queste fotografie perché volevo che avessero una comunione con lo spettatore, volevo toccare le persone nel modo in cui le tocca la musica". Dopo "The Deluge" la produzione del fotografo americano si volge verso nuovi temi più "spirituali". Una spiritualità "eretica", in un certo senso, ma di certo molto sentita: una sezione della mostra è intitolata "My personal Jesus" e svela un rapporto personale dell'artista con un Cristo che non è un'entità astratta e trascendentale ma incarna l'uomo comune. L'esposizione ospita, infine, una rassegna di filmati di backstage che illustrano il complesso processo di realizzazione dei set fotografici di LaChapelle e alcuni tra i video musicali dell'autore.
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