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Antonio Donghi, emozioni e sguardi in un tempo sospeso

Antonio Donghi, emozioni e sguardi in un tempo sospeso

Palazzo Merulana racconta il maestro del Realismo Magico

ROMA, 10 febbraio 2024, 21:47

di Luciano Fioramonti

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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La ricerca della classicità e l' esigenza della modernità. Era animato da questi due stimoli il percorso di Antonio Donghi, principale esponente del Realismo Magico che tra le due guerre accomunò artisti trovando spazio tra il furore dell' avanguardia futurista e i fautori del ritorno all' ordine. Nella produzione del pittore romano (1897-1963) non c' è solo il racconto di ambienti descritti nell' immobilità sospesa e ambigua di un mondo senza tempo. In questa atmosfera rarefatta a spiccare sono gli occhi intensi dei soggetti che molto spesso puntano l' osservatore. ''Lo sguardo li rende estremamente vivi, ci pongono domande: perchè siamo qui, quale è il nostro posto della società?'' dice Fabio Benzi, curatore della bella mostra ''Antonio Donghi, la magia del silenzio'' che Palazzo Merulana, a Roma, ospita fino al 26 maggio. Delle 34 opere selezionate ben 16 arrivano dalla collezione di Unicredit. Tre fanno invece parte dell' esposizione permanente dell' edificio che la Fondazione Cerasi ha restituito alla città nel 2018 facendolo rinascere dall' abbandono di decenni a spazio espositivo e polo per attività culturali trasversali.
    ''Donghi era estremamente còlto, compulsava tutta la storia figurativa italiana al punto da renderla indistinguibile. La sua era una pittura formale aggiornata da tensioni molto moderne'' ha osservato Benzi ricordando la passione dell' artista per il cinema e il teatro. Tra il 1922 e il 1923 il suo modo di dipingere cambiò radicalmente abbandonando la tradizione di matrice ottocentesca per una visione completamente nuova. La svolta arrivò nel 1924 da una sua mostra personale alla Galleria del fotografo futurista Anton Giulio Bragaglia, che nella Roma dell' epoca documentava l' avanguardia non solo della pittura.
    L' anno successivo un critico tedesco lo fece conoscere a livello internazionale aprendogli la strada per mostre anche a New York che lo resero più conosciuto negli Usa che in Italia.
    Proprio nella Galleria Bragaglia, secondo Benzi, Donghi aveva trovato nei quadri di Ubaldo Oppi la spinta al cambiamento. ''Al glamour rarefatto di Oppi - osserva Benzi - egli preferì ua popolarità nostrana, quasi romanesca, che spogliava la figurazione dai preziosismi e la adattava a pollarole, lavandaie, donne del popolo, cacciatori e teatranti dello spettacolo''. Donghi, che il critico Roberto Longhi definì Gentileschiano, esprimeva una ''pittura caravaggesca ma senza ombre''. Schivo e di poche parole, era artista privo di retorica. In mostra c' è un Ritratto equestre del Duce del 1937 in cui, fa notare Benzi, ad attirare l' attenzione più di Mussolini è il cavallo.
    L' esposizione di Palazzo Merulana vuole anche essere un tributo a Claudio Cerasi, l'imprenditore morto nel 2020 che con la moglie Elena ha creato la Fondazione di cui lo spazio espositivo è l' emanazione con la sua ricca collezione di capolavori dell' arte italiana del Novecento, in particolare della Scuola Romana. E proprio Donghi riveste una importanza particolare in questa vicenda di amore per l' arte. Cerasi venne folgorato dal quadro ''I piccoli saltimbacchi'' del 1938 visto nel 1985 in una mostra a Palazzo Braschi a Roma. ''Voleva comprarlo a tutti i costi - ha raccontato la figlia Alessandra - ma veniva da una collezione di New York. Il quadro arrivò poi nella galleria di Philippe Daverio e finalmente riuscì ad acquistarlo. Fu la prima opera della sua collezione''. Due mesi prima di morire, Claudio Cerasi era ricoverato in clinica e confessò alla figlia: ''Ho visto un Donghi che mi fa impazzire.
    Lo devo avere assolutamente''. Era ''Le Lavandaie'', del 1922-1923. Il marito di Alessandra, il medico che lo aveva in cura, lo autorizzò ad uscire per quell' ultimo acquisto che oggi figura tra i capolavori in mostra.

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