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Jago e Caravaggio, dialogo tra nature morte a Milano

Jago e Caravaggio, dialogo tra nature morte a Milano

Alla Veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano dall'8 maggio

ROMA, 04 maggio 2025, 17:36

di Laura Valentini

ANSACheck
Jago y Caravaggio, diálogo de naturalezas muertas - RIPRODUZIONE RISERVATA

Jago y Caravaggio, diálogo de naturalezas muertas - RIPRODUZIONE RISERVATA

 Una natura morta che conserva in sé almeno il ricordo di cio' che fu vita, di fronte a un'altra fredda e remota costituita solo da "un'accozzaglia di oggetti" che rimandano a un unico scopo, uccidere.

Lo scultore Jago ricostruisce così il confronto al centro della mostra 'Natura morta. Jago e Caravaggio: due sguardi sulla caducità della vita' al via dall'8 maggio presso la pinacoteca della Veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano. In un dialogo tra passato e presente, l'opera di Jago si confronta con la Canestra di frutta di Caravaggio, tra i capolavori più iconici della collezione del museo, con un cesto che non contiene frutti, ma armi. Pistole, fucili, mitragliatori riprodotti in marmo, materiale d'elezione dello scultore di Anagni, classe 1987, che da metà aprile è ospite del padiglione Italia ad Expo Osaka 2025 con l'opera 'Apparato Circolatorio'.
   

La mostra che mette a confronto gli sguardi di Jago e di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, sulla caducità della vita nasce quasi per caso. "Non avrei osato avere una conversazione di questo tipo" premette Jago in una intervista all'ANSA. "Io avevo progettato quest'opera e mi accadde di parlarne con Iole Siena di Arthemisia" che collaborerà alla realizzazione di un catalogo edito da Moebius, "lei era in comunicazione con la Veneranda Biblioteca Ambrosiana e ne ha intercettato l'interesse. Ne abbiamo parlato con i responsabili ed è nata la mostra". Perché le armi al posto della frutta? "La natura morta come soggetto di un quadro rappresenta l'emancipazione dell'artista dal dover raccontare per forza una storia" premette Jago, al secolo Jacopo Cardillo. "Una natura morta è una natura morta. E questo è il motivo alla base della mia opera. Sono talmente disgustato e afflitto da quello che mi arriva in questa era di comunicazione che non sono in grado di produrre un racconto. Produrre un'immagine era quello che più si avvicinava al mio sentire. Se pensiamo che Natura morta in inglese si traduce Still life, vita che c'è 'ancora' quindi più che morta, comprendiamo che la vita è già nelle parole che utilizziamo. Nella Canestra di Caravaggio quasi possiamo sentire il sapore di quella mela, è qualcosa che abbiamo nella memoria, c'è una prospettiva di caducità ma anche di vita che resiste".
    Viceversa "nella mia opera - prosegue lo scultore - dove sta l'arte? Questi oggetti non li ho inventati, io non ho fatto niente, ho fatto una composizione per dire qualcosa che è indicibile. I veri creatori sono i criminali di guerra che ogni giorno fanno migliaia di vittime. Io non ho creato quegli strumenti di morte, li ho atteggiati in una composizione. Noi partecipiamo e viviamo di cose non raccontabili, cosa oscene". E così la cesta ricolma di armi e fucili in marmo bianco "è l'immagine dell'inutilità della creatività umana messa a disposizione dell'insensatezza di scopi che vanno in direzione opposte alla vita, è un'accozzaglia - spiega l'artista - che testimonia lo spreco, l'incapacità di mettere al primo posto la comunicazione, l'amore, l'essere importanti gli uni per gli altri, tutto ciò che la storia avrebbe dovuto insegnarci. Ma evidentemente la storia non si studia: dobbiamo ripetere o addirittura peggiorare tutto cio' che avrebbe dovuto lasciare un segno, una traccia. In qualche modo questa è ancora la nostra eredità sulla quale si continua a investire". Jago insiste sulla contrapposizione arte-non arte alla base del dialogo con il maestro milanese. "Non credo ci sia arte nella mia Natura morta.
    La realizzazione dell'opera la attribuisco a chi ha avuto il pensiero di progettare e utilizzare quella roba, e a chi l'ha perfezionata. Come una tavola rotonda dove chi vi partecipa ha in comune il solo intento di offendere. Quelli siamo noi; posso scegliere di alzare lo sguardo e guardare Caravaggio, almeno lui mi dà una possibilità, c'è un po' di vita là dentro".
    La costante della sua opera è quella di reinterpretare la tradizione. "Ragiono in termini di linguaggio e ci sono linguaggi - spiega Jago -in cui mi riconosco. Quella della tradizione non è una lingua morta, è ancora in comunicazione con noi. Gli argomenti non sono esauriti e continuano meravigliosamente a raccontarci delle cose, probabilmente in maniera più efficace di quanto riusciamo a raccontarle noi oggi, perché portano con sé valori della saggezza di un tempo. Io mi riconosco in questo linguaggio e le cose che faccio oggi, anche se non mi permetto di fare paragoni, sono vicine a quelle; ho deciso che quella è la via perché mi riguarda. Non ha a che vedere con il sistema dell'arte, studiare come avere un risultato facendo determinate cose, non c'è quel tipo di costruzione del sé artistico: dico chi sono io e cosa amo realmente, se tolgo tutte le sovrastrutture cosa rimane? Il risultato è quello che faccio".
    Lei è tra gli artisti ospiti all'expo di Osaka presso il padiglione Italia il cui tema è 'L'Arte Rigenera la Vita': "in quel caso l'opera è antica, risale a un periodo in cui facevo sperimentazioni con un materiale solido come la ceramica, duro ma anche fragile; sono 30 cuori scolpiti, che poi diventano 30 fotogrammi in un video di un secondo, il tempo di un battito.
    Con 'Apparato Circolatorio' ho voluto dimostrare come anche un materiale solido e apparentemente immobile possa arrivare a muoversi e a pulsare. L'opera prende vita, trasformandosi in un battito eterno".
   

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