(di Alessandra Magliaro) Dopo la regista americana Greta Gerwig sarà ancora una donna a presiedere la giuria del festival di Cannes (dal 13 al 24 maggio): Juliette Binoche, la star francese con una carriera lunga 70 film, costellata di premi tra cui l'Oscar per Il Paziente Inglese, il film con Ralph Fiennes e Kristin Scott Thomas, che le consente di diventare, dopo Simone Signoret, la seconda attrice francese a vincere la statuetta. L'annuncio per la 78/a edizione arriva 40 anni dopo il suo primo ruolo importante in Rendez-vous di André Téchiné, presentato a Cannes nel 1985. Del resto, afferma spesso questa donna curiosa, istintiva, sempre pronta a sorprendere con scelte fuori dalla zona del comfort: "Sono nata al Festival di Cannes".
La sua allure contemporanea ha ispirato cineasti senza confini: Michael Haneke (Austria) per Codice sconosciuto e Caché, David Cronenberg e Abel Ferrara (USA), Olivier Assayas, Leos Carax, Bruno Dumont e Claire Denis (Francia), Amos Gitaï (Israele), Naomi Kawase e Hirokazu Kore-eda (Giappone), Krzysztof Kieślowski (Polonia) e Hou Hsiao-hsien (Taiwan).
"Non vedo l'ora di condividere queste esperienze di vita con i membri della giuria e con il pubblico. Nel 1985 ho salito i gradini per la prima volta con l'entusiasmo e l'incertezza di una giovane attrice, non avrei mai immaginato di tornare 40 anni dopo nel ruolo onorario di Presidente di Giuria. Apprezzo il privilegio, la responsabilità con assoluto bisogno di umiltà", ha dichiarato Binoche, classe 1964. Vinse a Cannes il premio come migliore attrice nel 2010 da protagonista di Copia Conforme di Abbas Kiarostami: diretta dal regista iraniano nella campagna toscana, al fianco di una cantante lirica britannica, Binoche illuminava questa storia universale mescolando amore e arte e le loro false pretese per coglierne meglio la verità. Dopo il suo quinto film in Selezione Ufficiale, ne sono seguiti altri quattro, fino a Il gusto delle cose di Trần Anh Hùng nel 2023 girato accanto all'ex marito Benoit Magimel.
Nata il 9 marzo 1964 a Parigi in un ambiente artistico, da un padre mimo, regista e scultore e da una madre attrice, studia teatro al Conservatorio, prima di debuttare sul grande schermo sotto la direzione di Jean-Luc Godard, Jacques Doillon e André Téchiné, che la rivela nel 1985 con il citato Rendez-Vous. Musa di Leos Carax, di cui è stata compagna, ha recitato con questo enfant terrible del cinema francese in Rosso Sangue (1986) e poi in Gli amanti del Ponte Neuf nel '92, dove ha interpretato una giovane donna alle prese con la strada, la vita e la sua miseria. Vincitrice dei premi più prestigiosi come la Coppa Volpi a Venezia nel '93 per il commovente Tre colori - Film Blu di Kieślowski e poi ancora Bafta, Cesar, Berlino, Efa, Juliette Binoche non cerca il virtuosismo, preferendo fidarsi solo dell'emozione e della sfuggente verità del momento.
Versatile e imprevedibile, ha girato film molto diversi tra loro, mettendosi costantemente alla prova e si è affacciata al mondo delle serie tv (The Staircase, The New Look), al teatro (Ivo van Hove), alla danza (co-creazione con Akram Khan), alla musica (Alexandre Tharaud) e alla pittura. Una curiosità: è apparsa in un episodio della serie Dix Pour Cent (Chiami il mio agente!) nel ruolo di un'attrice... scelta come madrina del Festival di Cannes.
Juliette Binoche è anche una attivista: istruzione, immigrazione clandestina o diritti umani in Iran (ha protestato a Cannes contro l'incarcerazione di Jafar Panahi tenendo un cartello con il suo nome sul palco) senza dimenticare i suoi interventi nella lotta per il #MeToo condividendo le esperienze inquietanti dei suoi inizi. Nell'aprile scorso ha rilasciato una lunga intervista a Libération, in cui ha raccontato i numerosi casting a cui si è dovuta sottoporre nuda, le "osservazioni sessiste" e gli attacchi di registi o agenti che ha dovuto respingere negli anni '80 e '90: "Sono sollevata nel vedere e ascoltare le testimonianze di donne e uomini che osano denunciare gli abusi subiti".
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