Paolo Petroni
Se una cosa ci ricorda questa
pandemia è che la natura è sempre più forte, più resistente
dell'uomo. Non per nulla molti scrittori (e poi drammaturghi,
registi di film e artisti diversi) da sempre hanno raccontato e
creato storie esemplari, tra cronaca e metafora, su epidemie e
altri cataclismi che cancellano o quasi il genere umano dalla
terra e ne mettono a nudo la sua vera natura. Allora questi
romanzi, queste cronache di day after, queste supposizioni di
arrivo al limite e di salvezza in extremis, con cui viviamo una
qualche consonanza, possono essere qualcosa che ci aiuta a
capire e riflettere su quel che ci sta accadendo in questo 2020,
magari a metabolizzarlo in qualche modo, così da ripartire, come
si dice, sapendo almeno un poco di più chi siamo.
Molti hanno appunto portato il discorso all'estremo e,
spariti tutti gli uomini dalla terra per un qualche misterioso
morbo, ci raccontano le cose dal punto di vista dell'ultimo
sopravvissuto, l'unico che si è salvato e si chiede se sia una
punizione o un premio. L'io narrante dell'ironico romanzo ''La
coda della cometa'' di Italo Cremona, scrittore e pittore
(1905-1979), si sveglia una mattina nella sua Torino e scopre
pian piano che non c'è più nessuno essere umano, tutti dissolti
da un male forse dovuto al passaggio di un corpo celeste. E'
stupito: ''La gente era dunque scomparsa in tutto il mondo? Mi
pareva un po' grossa; non esageriamo mi dicevo e intanto perché
non ti fai un caffè?'' visto che è entrato in un bar. Inizia
così a esplorare posti che non erano accessibili, vista uffici e
appartamenti, negozi (anche un'armeria) e musei con un interesse
quasi antropologico. Si sente inutile possessore di tutto, ma
ora capace di conoscere aspetti ''della vita privata dei mie
concittadini che mi era rimasta sempre nascosta sotto una
robusta vernice di rispettabilità''.
Non c'è più traccia di uomini, ma la vita umana continua
comunque a affascinarlo. 'Entra a Palazzo reale e accende un
fuoco in un vecchio camino finendo per incendiare tutto
l'edificio, con le fiamme che sfiorano il Duomo e la cappella
della Sindone. E' costretto dopo un po' a trasferirsi in collina
non riuscendo bruciare con la benzina ''tutte le cose
putrescenti e infette'', a cominciare dalla morgue. E il
racconto pian piano diventa una denuncia dell'ipocrisia e delle
nefandezze della cosiddetta 'civiltà'.
Con la compagnia di alcuni cani, come ''sostanzioso
diversivo'' indulge a leggere i nomi dei defunti nel cimitero:
''In fondo, cosa può far di meglio l'ultimo uomo che curiosare
tra i morti?'' Questo finché una mattina annota sul diario:
''Accidenti! Son o tornati tutti!'' E' accaduto all'improvviso
alla mezzanotte di una qualsiasi notte e, col passare dei
giorni, tutto riparte, si torna al grigiore quotidiano, come
dopo una vacanza, ma anche con tutta la gente attorno per il
nostro eroe la solitudine resta la stessa.
Un monologo del tutto solitario è anche quello del
protagonista del romanzo ''Dissipatio HG'' di Guido Morselli
(1912 - 1973) che, dopo aver rinunciato al progetto di
suicidarsi in una grotta, torna verso il paesino in cui vive
per scoprire (come l'omologo di Italo Cremona) che durante la
sua assenza il genere umano si è dissolto, dissipato nel nulla.
Restano le cose, gli animali, il ronzio di alcune macchine che
nessuno ha spento. Pensa tutti si siano recati per qualche
ragione nella vicina Widmad, ma anche lì il deserto e punta
allora sulla città, Crisopoli, dove è la situazione è la stessa,
con il palazzo della Borsa vuoto e nel giornale in cui aveva
lavorato le telescriventi come morte non ricevono niente da
alcuna parte del mondo. Anche all'aeroporto nessun arrivo o
partenza. Inquieto, si chiede se l'umanità sia stata
''angelicata in massa'' o se si tratta invece di un'inaudita
migrazione collettiva? Pensa a una silenziosa apocalisse con
l'unico sopravvissuto, che aveva deciso di uccidersi, di sparire
anche lui.
Tutto è apparentemente eguale, ma gli appare diversissimo.
Prende un'automobile e si reca a cercare una sua ex amante, la
cui casa è ovviamente vuota e il letto sfatto con l'impronta di
una testa sul cuscino. Il suo abituale pessimismo, la sua
convinzione di essere incapace di comunicare con gli altri,
raggiunge allora un livello quasi assoluto, ha momenti di
smarrimento che si tramutano in paura e poi lunghe riflessioni,
sul bene e il male, su filosofia e religione, domandandosi se
considerarsi un eletto o un rifiutato. Si ricorda del suo
ricovero per esaurimento in una casa di cura e del Dottor
Karpinsky che lo aveva messo sulla strada della guarigione, per
cui comincia a ricordarlo, a desiderarlo sino ad avere
allucinazioni che lo riguardano. Prova a cercarlo, ovviamente
inutilmente. Poi, pian piano si tranquillizza e si stabilisce a
Crisopoli, va a vivere nel ristorante della Borsa e resta in
attesa di non si sa che, mentre per strada riconquistano spazio
erbe e piante selvatiche, esattamente come è accaduto nelle
nostre città durante il lockdown. La realtà è che la natura
segue il suo corso, indifferente alla presenza o meno degli
uomini. Ed è solo questa lezione che può farci ripensare al
nostro modo di affrontare la vita e trovare la via per liberarci
da angoscia e paura.
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