(di Mauretta Capuano)
Difende a spada tratta il
merito, ma è molto severo "con le tentazioni tecnocratiche e
meritocratiche delle valutazioni" il nuovo libro del sociologo
Luca Ricolfi, La rivoluzione del merito (Rizzoli), con cui è a
Pordenolegge, la festa del libro con gli autori che si
concluderà il 17 settembre.
"Sta succedendo che l'idea di merito sia sempre più di destra
che di sinistra. A me dispiace poiché propendo per il campo
progressista, ma mi trovo a dover ammettere che in quasi 80 anni
dalla concessione della Costituzione, l'Articolo 34 ('la scuola
è aperta a tutti' ndr) è stato completamente dimenticato e
questo è imperdonabile" sottolinea Ricolfi.
"È l'articolo più importante perché è quello che permette di
far sì che il problema fondamentale dell'Italia, cioè la classe
dirigente, venga affrontato attingendo da tutti i ceti non solo
da quelli ricchi, potenti e privilegiati" spiega il sociologo e
docente di Analisi dei dati che ha fondato l'Osservatorio del
Nord Ovest.
"Negli anni Cinquanta il Partito comunista con Concetto
Marchesi, con Togliatti, facendo anche riferimento al pensiero
di Gramsci, aveva una idea di emancipazione dei ceti popolari
attraverso la cultura alta. Difendeva il latino perché pensava
che per la formazione della persona la cultura umanistica fosse
fondamentale. Poi le cose sono cambiate, alla morte di Marchesi
ha vinto la linea dell'annientamento del latino,
dell'abolizione. Il peccato originale della cultura di sinistra
è stato quello di abbandonare l'idea che la cultura alta sia uno
strumento di elevazione ed emancipazione dei ceti popolari"
sottolinea Ricolfi.
Nel suo saggio La rivoluzione del merito Ricolfi ripercorre la
storia delle idee sul merito fino all'attuale confusione tra
merito e meritocrazia.
"Una delle caratteristiche del mio libro è che si rifà a una
distinzione netta tra merito e meritocrazia. Io sono
estremamente favorevole al merito, ma gli strumenti devono
essere accurati. I sistemi che stanno prendendo piede in
Occidente da qualche decennio sono approssimativi perché sono
basati sui test" spiega il sociologo che fino ad un certo punto
ha difeso i quiz. "Erano uno strumento - dice - per confrontare
realtà molto diverse. Per capire, per esempio, se in una certa
scuola il livello era alto o basso rispetto ad un'altra. In
questo senso i test possono anche funzionare. Se in un test
Invalsi una scuola ha otto su dieci e l'altra ha sei su dieci, è
evidente che quella scuola prepara meglio di un'altra. Però c'è
un passaggio logico fondamentale: lo stesso test che è preciso
quando valuta 100 persone, mille persone o un territorio,
diventa estremamente impreciso quando valuta l'individuo perché
nell'aggregato gli errori si misurano, sono molto ridotti. Ma se
pretendiamo di decidere che questo chirurgo è più bravo di
quest'altro o che questo ragazzo è più bravo di quest'altro in
base ad un test a crocette sbagliamo" mette in guardia Ricolfi.
"Non c'è un sistema perfetto ma quando dobbiamo aiutare dei
ragazzi il colloquio dell'insegnate, la prova scritta, la
commissione che guida sono strumenti molto migliori che fare il
test a crocette. Quando uno strumento è usato in modo
inappropriato dobbiamo avere il coraggio di cambiarlo, invece fa
molto comodo" dice lo studioso.
Ricolfi fa notare anche come "la cultura in Italia, ma in tutto
l'Occidente, sia monopolizzata dalla sinistra. La particolarità
dell'Italia però è che il monopolio è stretto, terribilmente
esiguo. In tutti i paesi occidentali, c'è una destra culturale
minoritaria ma non ridicolmente esigua. C'è una situazione molto
pericolosa perché quando un establishment culturale non si
contrappone a un mini establishment di segno opposto ma al
pensiero della gente in quanto tale vuol dire che la gente viene
demonizzata".
Per il sociologo abbassare il livello di istruzione e i
criteri di valutazione per non far sentire indietro nessuno,
come è avvenuto in questi anni, non è stata una scelta vincente.
"Il 99,4% degli studenti viene promosso agli esami di maturità.
Non si è capito - afferma - che questo rimedio aveva qualche
piccolo inconveniente. Prima di tutto lasciava indietro i ceti
bassi. Si può dimostrare con strumenti scientifici che
l'abbassamento della qualità dell'istruzione danneggia tutti ma
di più i ceti popolari e quindi aumenta la disuguaglianza"
sottolinea.
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