Molte opere di Leonardo Sciascia pongono la questione giustizia al centro della riflessione.
La vocazione dello scrittore è quella di scavare nei casi giudiziari più controversi per comprendere perché mai la ragione finisca per essere sopraffatta dall'arbitrio.
Questo itinerario
letterario, ma anche civile, di Sciascia sul tema della
giustizia "tradita" è ora ripercorso da Ennio Amodio e Elena
Maria Catalano nel volume "La sconfitta della ragione" edito da
Sellerio (220 pagine, 20 euro).
I due autori sono docenti universitari di procedura penale,
quindi propongono un'analisi delle posizioni di Sciascia, spesso
accompagnate dalle polemiche, con l'ottica dei professionisti
del diritto. E ne condividono soprattutto il "rifiuto del
misticismo giudiziario". Lo scrittore, sostiene nella prefazione
Gianni Puglisi, ha scelto una dimensione critico-logica, "si
ispira ai valori della libertà individuale e sociale" e non
soggiace ad "alcuna prevaricazione politica e sociale". È forte
nelle sue opere il richiamo dell'illuminismo che, secondo Amodio
e Catalano, punta alla radicale riforma della giustizia, alla
denuncia della fragilità del percorso indiziario, alle
distorsioni della macchina della giustizia, alla riscoperta dei
diritti dell'uomo e quindi al primato della ragione. Questa
visione della giustizia emerge sia dai suoi romanzi polizieschi
- Il giorno della civetta, A ciascuno il suo, Il contesto - così
diversi dal genere del giallo classico e così orientati a
valorizzare il ruolo dei funzionari minori fedeli alle
istituzioni e alle leggi ma destinati alla sconfitta perché
schiacciati dalle trame del potere. È proprio quello che accade
al piccolo giudice di Porte aperte e al capitalo Bellodi del
Giorno della civetta. Grande era anche la diffidenza di
Sciascia sia verso lo spettro dell'errore giudiziario sia verso
i "professionisti dell'antimafia", l'ultimo caso su cui la
preoccupazione dello scrittore per la formazione di un nuovo
sistema di potere gli attirò le polemiche più aspre. Eppure,
osservano Amodio e Catalano, il suo era un "illuminismo ben
temperato" che con lo strumento della critica cercava di
sfuggire al rischio della spettacolarizzazione della giustizia e
della deriva dell'ingiustizia.
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